Ma, anche alla luce di queste considerazioni, cosa s’in-
tende per vitigno autoctono? La parola deriva dal greco e let-
teralmente significa “della sua stessa terra” (dal greco autó-
chtõn, comp. di autós = stesso e chthón = terra), ossia
“generato dalla terra”, e, per estensione, “originatosi in un
determinato luogo”.
I vitigni autoctoni, a rigore di termini, sarebbero dunque
soltanto quelli originatisi in loco mediante semina di vinac-
cioli. Non sarebbero perciò tali i vitigni importati da altre
zone.
Nell’uso comune, invece, tale termine viene spesso uti-
lizzato per indicare i vitigni di una zona coltivati in loco da
lungo tempo, in maniera perlopiù marginale dal punto di
vista commerciale. Essi vengono classificati anche con altri
aggettivi, quali: minore, locale, antico, indigeno, domestico
ecc., termini che tuttavia non sono sufficienti per definire
correttamente un vitigno come autoctono.
Di questo passo però si corre il rischio di estrapolare da
questa definizione tutte le varietà che, nelle varie zone (nel
nostro caso il Lazio), vengono considerate come tali, per arri-
vare per assurdo a concludere che la vite è autoctona solo del
luogo dove la sua coltura è iniziata e si è specializzata, ossia
la catena montuosa del Caucaso, ove i primi agricoltori (subi-
to dopo quelli della Mesopotamia) avevano messo a coltura
le prime viti (XI-X millennio a. C.).
Fissare il limite temporale al quale attenersi diventa per-
ciò abbastanza problematico: al giorno d’oggi, quando si
parla di vitigni autoctoni, si fa riferimento a quelli che sono
stati coltivati in una certa zona per un determinato periodo
di tempo.
Se il criterio è questo, allora anche numerosi vitigni
introdotti di recente nella Regione possono essere considera-
ti autoctoni; l’obiettivo pratico nell’individuazione e defini-
zione degli stessi è ora quello di recuperare il loro patrimonio
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