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il vitigno era assai diffuso nei Castelli Romani proprio perché dava vini eccellenti. Come la precedente, anche questa vite viene coltivata esclusivamente per la produzione di vino. L’uva non viene mai vinificata da sola, ma come complementare ad altre varietà, quali i Trebbiani e le Malvasie, che conferiscono una nota gentile di profumo, sapore e corpo. Anche nella stra- grande maggioranza dei vini laziali (Frascati, Marino, Colli Albani e altri) troviamo impiegata questa tipica Malvasia. Il vino è giallo paglierino, leggermente aromatico, giu- stamente alcolico e morbido. Trebbiano toscano. Sotto il nome di Trebbiano vanno annoverati diversi vitigni (tutti a frutto bianco), tra i quali ve ne sono alcuni molto differenti fra loro. Fra i più importanti, oltre al “Trebbiano toscano” (o “del Chianti”) sono da ricordare: il “T. romagnolo”, il “T. veronese” (o “di Soave”), il T. giallo (o “di Velletri”). Ma vi sono anche “T. perugini”, “spoletini” ecc. Probabilmente originario del bacino orientale del Medi- terraneo, forse di origine etrusca, viene citato da Plinio il Vecchio 53) e, successivamente, da molti altri ampelografi ita- liani. Il Trebbiano toscano è un vitigno bianco, molto produt- tivo, a maturazione abbastanza tardiva, di buona resistenza alle malattie. È diffuso in particolare nelle regioni centrali d’I- talia, come la Toscana, l’Umbria, le Marche, il Lazio (dove è chiamato “Castelli Romani”), ma anche nella regioni meri- dionali, un po’ meno in quelle del Nord. Era detto Trebulanus il vino che veniva prodotto nell’agro omonimo a Trebula, in Campania (cfr. Storia Naturale, libro XIV, § 69). Andrea Bacci, nella sua poderosa opera sui vini d’Italia (sec. XVI), riteneva invece che il nome Trebbiano derivasse da una località omonima del territorio di Luni (in Etruria) sui confini con la Liguria. 53) 46