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espansione urbanistica, le viti finirono per… salvarsi su quei colli, presso i celebri Castelli Romani, coprendone cime e pendici. Da lì rifluirono poi a Roma in tanti rivoli di bianco e di rosso, di asciutto, di cannellino 45) … Una sensazione che l’inglese Charles G. Bode, nel suo volumetto sui vini d’Italia (1956), così descriveva: «…sembra che il vino scorra attraver- so Roma dall’ampia distesa delle colline in lontananza». In tutto il secolo XVI ebbero un ruolo fondamentale nella storia di Roma anche le centinaia di osterie, taverne e locande che ben evidenziavano la passione del popolo roma- no per il vino. Umberto Gnoli, nel saggio “Alberghi ed oste- rie di Roma nella Rinascenza” (1935), raccolse in ordine alfa- betico ben 250 locande ed osterie e le corredò di moltissime notizie: dalle tovaglie alle salviette, alle stoviglie, ai reci- pienti per acqua e vini, ai menu, ai cibi ed infine i vini, i prezzi, le osterie aperte anche di notte ecc. E sulle insegne in nero, dorate, o dipinte su legno di quelle locande compa- rivano i nomi più svariati che ci tramandano il ricordo di quell’atmosfera godereccia e mercantile: Cervo, Pavone, Drago, Cinque Lune, Falcone, Due Spade, Corona, Croce di Malta ecc. Gli alberghi erano di solito frequentati solo dai bene- stanti, mentre i pellegrini alloggiavano nel portico o sotto gli archi dei monumenti. Durante i Giubilei, in particolare, fiorivano le hostarie- locanda, nelle quali, oltre ai piaceri della tavola, venivano offerti alloggio e altre comodità . Oggi sono poche le locande superstiti del XV e XVI seco- lo. In una di queste, denominata il “Montone”, situata sulla Piazza della Rotonda, era stato ospite il poeta Ludovico Ario- sto quando s’era recato a Roma per l’elezione di Papa Leone X. 45) Cfr. Jannattoni L., Il ghiottone, p. 55. 38