VCi - proposta vini PROPOSTA_vol2_ROMA2 | Page 24

(l’attuale “Pizzutello”), dagli acini allungatissimi 29) , la Numi- siana, portata dalla Numidia a Terracina, l’Onciale con gli acini del peso di un’oncia (30 grammi circa), la Tripedania, che si lasciava crescere fino a tre metri d’altezza, e le uve Forensi, facili a trasportarsi ed anche a vendersi, in virtù del loro piacevole aspetto. La vendemmia Dato l’amore dei Romani per le cose dolci, la vendem- mia veniva fatta il più tardi possibile. I grappoli erano recisi con un coltello simile a una falce in miniatura, raccolti in ceste e portati alla cantina. Seguiva poi la pigiatura entro vasche poco profonde con torchi sempre più perfezionati, validi fino a tempi molto recenti. La fermentazione del mosto avveniva in dogli di terracot- ta, quasi completamente interrati nel pavimento della cantina. Si usavano dogli anche per far invecchiare il vino e, in tempi più recenti, pure per trasportarlo. Questi recipienti, con l’in- tensificarsi del commercio marittimo, sostituirono anche le pesantissime anfore: i dogli, benché economicamente più con- venienti, non si potevano tuttavia togliere dalla nave e veni- vano riempiti per mezzo di otri fatti con pelli bovine. Per ottenere vini più forti e più dolci si facevano appas- sire i grappoli sulla pianta, alla maniera del Greci 30) , o si ricor- reva alla bollitura del mosto e si otteneva il defrutum (dal lati- no defervere ossia “ribollire”: mosto ridotto fino a metà). La parola “bumaste” deriva dal greco boúmasthoi (“dalle mammelle vaccine”) con riferimento alla forma dell’acino, mentre “dattilo” richia- ma il greco dáktylos (“dito”) per gli acini affusolati, come dita. 29) I Greci usavano una tecnica che consisteva nel raccogliere i grappoli ancora un po’ acerbi e nel lasciarli al sole (forse per mantenere alta l’a- cidità) alcuni giorni ad appassire, per aumentare la concentrazione zuc- cherina. 30) 23