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Albani, il vino di Segni 23) e quello di Fondi. Il celeberrimo Falerno non era propriamente un vino laziale, ma la sua patria era l’Agro di Sinuessa, al confine tra il Lazio e la Cam- pania; oltre ad essere il vino di maggior prestigio, proprio per- ché frutto di una coltura molto accurata, era anche l’unico infiammabile e si presentava con tre varietà: forte, dolce e leggero 24) . Nel territorio di Nomentum (Mentana) c’era la vigna del filosofo Lucio Anneo Seneca (4 a. C. - 65 d. C.), notissima a Roma per il suo vino squisito. Altri vini rinomati dei dintorni di Roma erano quelli di Priverno, Anagni, Frosinone e Velletri. Tivoli dava due qua- lità, una pessima e l’altra molto buona, ed aveva in più uve speciali da tavola coltivate a pergola. La Sabina dava il vino più debole e scadente, che a Roma era conosciuto col nome di spregevole vino Sabino. Di questo periodo tanto fecondo per la viticoltura e l’e- nologia romane abbiamo vaste testimonianze, come già s’è detto, nelle opere degli scrittori georgici latini, i quali danno importanti suggerimenti inerenti la posizione ideale del vigne- to, la qualità e composizione del terreno, il modo di piantare e di coltivare la vite, oltre a preziosi consigli sia in riferimento al clima che alle condizioni ambientali e meteorologiche. Tutti questi autori forniscono inoltre un elenco più o meno dettagliato dei vitigni che erano coltivati in Italia nei con quelli del monte Gauro (l’odierno monte Barbaro, vicino a Cuma) di fronte a Pozzuoli e Baia; l’uva del monte Gauro era detta “calventina” (cfr. Plinio, XIV, 38). Città situata sul monte Lepino, tra la via Appia e la via Latina. Questo vino, in particolare il rosso, veniva incluso fra i medicinali perché molto aspro e perciò astringente dell’intestino; tuttavia, invecchiando, modifi- cava l’eccessiva acidità. 23) 24) Cfr. Plinio, Storia, XIV, 62-63. 20