VCi - proposta vini PROPOSTA_vol2_ROMA2 | Page 18

re insalubre a causa dell’acqua stagnante e della mancata cura dei boschi e dei pascoli. Questo stato di cose andò sempre più peggiorando e la malaria incominciò a colpire i contadini che abbandonarono le campagne e i terreni, soggetti all’acqua del mare o del Tevere e dei suoi affluenti, divennero un po’ alla volta paludi. La viticoltura, limitata alle colline, alle alture e ai din- torni dei paesi, riprese vigore verso il 1300 in virtù delle con- gregazioni monastiche dei religiosi i quali, dovendo assicu- rarsi il vino per la Messa, diventarono dei bravissimi vignaioli e insegnarono anche al volgo le migliori tecniche di coltiva- zione della vite. Tuttavia i monasteri non incrementarono di molto la produzione, tanto che nel 1500 l’enotecnica si tro- vava in uno stato che possiamo definire di decadenza. Fu abbandonato il sistema ad alberello ed anche quello di maritare la vite all’albero, tipici dei latini, e prevalse quel- lo di legarla alle canne, riunendo i ceppi in gruppi di quattro, alla distanza di un metro l’uno dall’altro, a forma di conoc- chia; era, questo, un metodo dispendioso che rendeva neces- sario nei vigneti l’impianto del canneto, il quale costituiva spesso un centro di aria malsana. Un altro grave danno per l’agricoltura fu la confusione dei vitigni: tutte le varietà, che i latini conoscevano e distin- guevano con nomi particolari, non furono più riconosciute e si confusero con quelle che venivano importate dalle altre parti d’Italia. Una sola vite viene ricordata spesso ed è la “tre- bulana”, corrispondente forse a quella che attualmente pro- duce il vino “Trebbiano”. 17