Il vitigno di più antica attestazione di coltura nella re-
gione atesina è sicuramente la Schiava grossa o Schiavone.
La Schiava è anche il vitigno più citato negli atti notari-
li e nei trattati di agricoltura medievali, tanto da rappresen-
tare un modello viticolo per antonomasia, quello appunto
delle viti sclave 79) , vale a dire una famiglia di varietà dalle ca-
ratteristiche ampelografiche tra loro anche molto diverse (sia
a frutto bianco 80) che rosso) ma con la stessa origine geografi-
ca (ossia la Slavonia, regione storica serbo-croata) e alcune ca-
r atteristiche comuni.
I primi riferimenti a questo vitigno coincidono, a parti-
re dal 1200, con la creazione dei primi vigneti specializzati,
ma la sua fama durerà fino al XV secolo quando verrà oscu-
rata dalle Malvasie e dai Moscati, provenienti dal Mediterra-
neo orientale.
Durante il Medioevo la Schiava era coltivata nelle va-
rianti a bacca nera e a bacca bianca, in seguito la varietà ne-
ra ha soppiantato quella bianca.
Attualmente esistono due tipologie di Schiava: da una
parte il vitigno coltivato in Lombardia, dall’altra i tre biotipi
diffusi in Veneto, Trentino e Alto Adige: Schiava gentile, Schia-
va grigia e Schiava grossa, la varietà qui descritta.
Nel XIII secolo erano definite sclave le varietà di viti coltivate a basso
ceppo lungo i filari e legate a un sostegno (palo o albero): questo meto-
do di allevamento si contrapponeva, nelle regioni settentrionali come il
Veneto, la Lombardia e il Trentino Alto-Adige, alle viti dette “marocche”
o “altane”, allevate alte. Schiave dunque perché vincolate al sostegno
(cfr. Giavedoni F. - Gily M., Guida, p. 426).
79)
Di una schiava bianca parla lo studioso bolognese Pier De’ Crescenzi
(1233-1321) nel libro IV del suo “Trattato della Agricoltura” (ediz. Bolo-
gna 1784, p. 7): «...è una uva bianca avente il granello quasi ritondo, e
fa mezzanamente grandi e spessi grappoli... Il suo vino è molto sottile e
chiaro e convenevolmente potente, e da serbare e maturo».
80)
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