so orientale da Feltre-Oderzo (la Valsugana) e uno padano da
Verona (la Vallagarina), favorì in seguito una viticoltura d’im-
pronta soprattutto veneto-padana: questo perché le zone at-
traversate da queste strade erano state oggetto di varie occu-
pazioni e sottoposte a controlli ecclesiastici da parte delle
diocesi di Trento, di Verona e di Feltre 12) .
Tuttavia, col trascorrere dei decenni, le quantità eccessi-
ve di vini, che giungevano a Roma dall’Italia del Nord e dal-
la Gallia, indussero l’imperatore Domiziano a promulgare,
nel 92 d. C., il famoso editto – esempio vero e proprio di pro-
tezionismo – nel quale, oltre a tanti divieti e ingiunzioni, c’e-
ra pure l’ordine di dimezzare i vigneti nelle province 13) .
Per registrare un notevole incremento nel settore della
viticoltura trentina, dobbiamo pertanto attendere il III seco-
lo d. C., ossia quello del governo dell’imperatore romano Pro-
bo (232-282), durante il quale fu concesso a tutti i cittadini
romani di piantare e coltivare le viti e di tornare ad esercita-
re il commercio vinicolo.
Nei secoli a seguire, in particolare dopo il crollo dell’Im-
pero Romano d’Occidente (476 d. C.), la viticoltura corse se-
ri pericoli di distruzione a causa soprattutto delle migrazioni
dei popoli che provocarono un grande spopolamento con
conseguente abbandono delle terre.
Fu allora che la vite lasciò le valli e i colli trentini per ri-
tirarsi in luoghi montani più appartati e nelle zone più ele-
vate delle valli laterali, al sicuro dai barbari. Nel fondovalle le
campagne, rimaste incolte, furono invase dagli acquitrini.
Cfr. Scienza A. - Failla O., La circolazione dei vitigni in ambito padano-
veneto ed atesino: le fonti storico-letterarie e l’approccio biologico-molecolare,
in “2500 anni di cultura della vite nell’ambito alpino e cisalpino”, Tren-
to 1996, p. 193.
12)
13)
Cfr. Fontanari Martinatti I., La vite, p. 34.
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