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Rimanendo sempre in ambito lombardo, bisogna tuttavia aggiungere che la progressiva perdita di variabilità genetica è da attribuirsi anche allo spopolamento delle campagne delle val- late appenniniche e di zone elevate e all’abbandono, da parte dei contadini, dell’agricoltura promiscua e per l’autoconsumo. La ricerca condotta in questi ultimi anni in campo viti- colo-enologico e l’esperienza operativa hanno portato all’in- dividuazione, anche sul territorio lombardo, di un ampio patrimonio di genotipi originali che il produttore ha saputo utilizzare per ottenere una gamma di vini tipici, originali e di gran pregio. Col recupero e la valorizzazione delle varietà autoctone si è dato perciò grande valore alla viticoltura di una Regione che nei secoli scorsi presentava un grande patri- monio di vitigni coltivati in diverse zone di produzione. Nell’Oltrepò Pavese, ad esempio, secondo un’indagine condotta nel 1884 dall’ampelografo Carlo Giulietti 2) , erano presenti circa 260 varietà di vitigni! Nomi come “Moretto”, “Moradella”, “Colombaia nera”, “Vespolina”, “Croà”, “Gri- gnolino”, “Barbera”, “Croattina” sono indicativi delle varietà molto diffuse allora nelle zone di pianura, di bassa collina e nella parte medio-alta dei colli. Questa grande abbondanza di varietà, sparse un po’ in tutta la Regione, giunse però quasi sull’orlo dell’estinzione a causa delle malattie “americane” (oidio, peronospora e fillos- sera) che causarono per vari decenni l’abbandono e il man- cato utilizzo dei vitigni. I viticoltori furono perciò obbligati a rifare i vigneti su piede americano e a semplificare la composizione varietale Avvocato (1825-1909), presidente della Commissione ampelografica pro- vinciale di Pavia. Nella sua Ampelografia della provincia di Pavia (1884-1887) ci ha lasciato un quadro molto dettagliato della viticoltura, dell’enolo- gia e dell’ampelografia pavesi. 2) 6