«In quella parte poi dove l’agro si estende… dalla bellissima
Brembana, che va dalle montagne lungo l’argine del fiume
Serio fino all’Adda… campi, vigneti e colline fertilissime…
producono in abbondanza ottimi tipi di vini, neri e bianchi,
che raggiungono la piena maturazione entro l’anno e si con-
servano sinceri per dieci anni» 34) . E citava Pedrengo, celebre
per i vini “Moscatelli”; Grumello, Cenate, Gandosso e Cesa-
na di Brianza, dove si producevano ottime “Vernacciole” e
dove si facevano anche dolcissimi vini “Greci”, che venivano
venduti con profitto notevole a Milano e in Germania.
Dopo il secolo XIV si erano diffuse anche la Vernaccia,
di origine greca, e la Malvasia, collegata alle fortune com-
merciali di Venezia. Negli Statuti di Barnabò Visconti del
1355 troviamo anche la Lujana (forse la Lugliana), la Brune-
sta e la Durassa (forse la Duracina).
Si tratta di una viticoltura fiorente ed estesa che produ-
ceva più vini di quanto ne consumasse. Solo agli inizi del
XVIII secolo, dopo l’introduzione del baco da seta, essa
decadde al punto che il vino per il consumo locale dovette
essere importato.
Nei secoli seguenti si nota una ripresa della viticoltura
anche se primeggiano solo alcuni vitigni fra i quali il Marze-
mino (o Balsamina o Berzamì), giunto probabilmente dal
Veneto con l’espansione veneziana, la Schiava, il Pignolo ed
il Groppello.
Tra la fine dell’800 e la prima metà del ’900 si riscontra-
no numerose altre varietà provenienti dalla vicina Valtellina,
mentre si assiste ad una svolta importante dopo il 1950 con
la coltivazione quasi esclusiva di vitigni stranieri, ad eccezio-
ne del solo Moscato di Scanzo.
34)
Bacci A., Storia, libro VI, p. 60.
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