varietale lombardo. Nella provincia di Pavia, che era allora la
più importante dal punto di vista viticolo, il Comitato Cen-
trale Ampelografico, presieduto dal conte Giuseppe Di Rova-
senda (1824-1913) 23) , pubblica nel 1884 il risultato delle inda-
gini effettuate in modo capillare sul territorio e per la prima
volta viene introdotto l’uso di tecniche descrittive standar-
dizzate.
Intanto, nel 1845, un fatto nuovo aveva minacciato la
fiorente viticoltura lombarda: la scoperta, in una serra presso
Londra, di un fungo parassita della vite, l’oidio (Oidium
Tuckeri), importato dall’America del Nord insieme a dei viti-
gni americani. Nel 1868 si era scoperto in Francia un temibi-
le insetto, giunto anch’esso dall’America: la fillossera della
vite (Phylloxera vastatrix) e, terza in ordine cronologico (1878)
e sempre proveniente dal Nuovo Mondo, la peronospora,
un’altra terribile malattia crittogamica della vite.
La viticoltura europea e anche quella lombarda uscirono
da questo “flagello” profondamente mutate. Se fino alla
prima metà del secolo XIX esse erano rimaste fedeli a tecni-
che di tradizione millenaria, risalenti perlopiù a quelle illu-
strate da Columella e da altri autori latini, dopo l’avvento
delle nuove malattie dovettero arrendersi di fronte ad una
rivoluzione nella tecnica stessa. I coltivatori furono costretti
a ricorrere a scelte biologiche e chimiche, senza l’aiuto delle
quali non avrebbero potuto debellare i nuovi “nemici” e sal-
vaguardare i propri vigneti.
Di questo noto ampelografo venne pubblicato a Torino nel 1877 il
“Saggio di una Ampelografia universale”.
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