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si arguisce che la vite era diffusa più in pianura che in colli- na ad eccezione del territorio di Rovescala (Pavia). Nel Capi- tulare de Villis 13) di Carlo Magno (ca. 800) si fa una precisa distinzione tra vini di piano e di monte e tra vini nostrani e stranieri e si danno anche istruzioni sulle propaggini delle viti. Prima del Mille, come attestano moltissimi atti notarili, documenti di compravendita, donazioni, permute, contratti agrari ecc., c’è un incremento della viticoltura lombarda in genere e di quella di Brescia in particolare. Quest’ultima, con Trento e le Venezie, aveva conosciuto al tempo di Giulio Cesare (giovane governatore della Gallia Cisalpina) un lungo periodo di splendore viticolo; ma anche dopo la caduta dell’Impero, pur tra le continue trasformazio- ni economico-sociali, la coltura della vite rimase un punto di riferimento dell’economia agricola bresciana. La troviamo, infatti, praticata nelle corti (curtes) dei grandi monasteri di Leno (nella pianura centrale), di S. Giulia (nella zona pede- montana) ecc. Oggi si ritiene che gli attuali vigneti discendano da quel- li piantati fin dai secoli IX e X proprio nelle terre del mona- stero di S. Giulia 14) il quale, assieme a quelli di Bobbio e di Nonantola 15) , occupò un posto preminente nell’economia Sono dette “capitolari” perché divise in capitula le ordinanze emana- te in epoca carolingia. Furono emanate soprattutto da Carlo Magno e si distinsero essenzialmente in due categorie: ecclesiastiche e mondane, ossia laiche. 13) AA. VV., I vini bresciani, a cura della C. C. I. A. A. di Brescia, Brescia 1973, p. 11. 14 L’abbazia di Bobbio (Piacenza) fu fondata nel 612 dal monaco irlan- dese Colombano e divenne, nel primo Medioevo, un centro culturale importantissimo; l’abbazia di Nonantola (Modena) venne fondata nell’- VIII secolo dai Benedettini e passò nel XVI secolo ai Cistercensi. 15) 14