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strade commerciali, oltre a far affluire molte varietà da luoghi lontani, permettesse anche la circolazione delle stesse inno- vazioni viticole ed enologiche. Con la decadenza dell’Impero Romano, dovuta soprat- tutto all’arrivo dei barbari che calavano a ondate in Italia distruggendo tutto ciò che era ordine (filari compresi!), anche la viticoltura ebbe a subire un tracollo e molti vitigni rischia- rono di scomparire dal panorama ampelografico. Fortunata- mente i danni non furono irreparabili per la considerazione speciale in cui era tenuto il vino dalla religione cristiana, la quale aveva ormai preso piede in tutto il mondo allora cono- sciuto. La maggior parte dei vitigni fu salvata proprio per merito dei conventi e delle chiese, che ne conservarono i semi per una nuova rinascita della viticoltura. Tuttavia i riferimenti ai vitigni coltivati in epoca roma- na, ricavabili dalle opere degli scrittori georgici, scompaiono del tutto durante il primo Medioevo, per poi ricomparire nei secoli IX e X con l’espandersi dei monasteri bene det - tini 12) . Qualche incerta notizia si può dedurre dall’arrivo dei Longobardi, i quali apprezzavano a tal punto la vite e il vino da comminare pene severe a chi danneggiava in vario modo le viti. Un esempio dell’importanza dell’economia viticola è fornito dall’Editto di Rotari del 643, nel quale si riporta l’e- lenco delle sanzioni contro coloro che rubavano uva o pali per le viti. In epoca carolingia si ebbe un potenziamento della viti- coltura pavese e lombarda in genere: dai documenti del tempo San Benedetto da Norcia (480-547) fondò dodici monasteri nella valle dell’Aniene. Di qui si trasferì a Montecassino (529) dove eresse il famo- so monastero e nel 540 circa dettò la Regola dell’ordine, compendiata nel motto “ora et labora”. 12) 12