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nel suo poemetto “ Syphilis sive de morbo Gallico ”, ricorda « il vino … proveniente dai piccoli grappoli della vite Retica », con evidente riferimento all ’ antico “ acinatico ” e all ’ attuale “ recioto ” della Valpolicella che si ottiene ancora ai giorni nostri dalle “ recie ”, cioè dai piccoli grappoli alquanto spargoli delle uve autoctone ( corvina , rondinella e molinara ) 21 ) .
Sul finire del secolo l ’ umanista e attore comico Adriano Valentini pubblicava “ Le bellezze di Verona ”, in cui ricorda il Moscatello della Villa delle Stelle dei Conti Giusti , le vernacce e i vini vermigli e rileva altresì che nel 1585 si ebbe nel Veronese una così grande abbondanza di vino da non saper dove metterlo 22 ) .
Nei primi decenni del Seicento varie calamità ebbero a colpire Verona : nel 1626 enormi invasioni di locuste devastarono le colture e con esse anche i vigneti ; di tanto in tanto l ’ Adige rompeva gli argini e allagava i paesi e le terre vitate e nel 1630 la peste infierì sulla città e su tutto il territorio . Francesco Pona , nella sua opera “ Il gran contagio di Verona nel 1630 ”, elencò , fra le medicine utili per combattere l ’ epidemia , anche il vino ( preso con moderazione ).
In quell ’ epoca la viticoltura offriva perlopiù prodotti qualitativamente mediocri . Proprietari di estesi vigneti , e quindi produttori di uve e di vini , erano soprattutto i nobili . Il conte Pier Alvise Serègo possedeva a Gargagnago e a Sant ’ Ambrogio di Valpolicella circa 117 ettari di campi vitati , mentre al conte Bonefacio Sambonefacio appartenevano moltissimi vigneti in pianura e di 120 campi anche in Bardolino .
Ma se le notizie sulla vitivinicoltura veronese dei primi secoli dell ’ età moderna appaiono abbastanza frammentarie ,
21 )
Cfr . Paronetto L ., Antica , p . 522 .
22 )
Cfr . Valerini A ., Le bellezze di Verona , testo e commento di G . P . Marchi , Verona 1974 .
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