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raccoglie nel veronese a sufficienza ed alcune qualità se ne asporta fuori del paese». Sempre sul finire del secolo un anonimo veronese, in un componimento poetico, chiama per la prima volta “gentile” il vino di Verona: «Verona, la ben posta sei chiamata / che de biave abunde e zentili vini / […] chiamar te poi la città beata». Età moderna Gli inizi del Cinquecento furono per Verona molto tor- mentati: prima la peste, poi una tremenda inondazione del- l’Adige, quindi un freddo intensissimo che agghiacciò il fiume e, più tardi, la contesa tra Tedeschi e Spagnoli da una parte e tra Francesi e Veneziani dall’altra per il possesso della città. Il vino veniva venduto al prezzo enorme di trenta zec- chini il carro (ossia la botte)! Tuttavia, nonostante le varie calamità, il popolo veronese poté allestire nel 1530, in occasione del passaggio dell’impera- tore Carlo V, “fontane di vino” a Rivoli, nel ponte sull’Adige. A quel tempo l’agricoltura non era molto prospera a causa dei continui passaggi in mezzo ai campi e ai seminati di “cavalieri” ed “asinari” che esercitavano il commercio fra una città e l’altra. Sono perciò poche, in questo periodo, le opere che trattano in modo specifico dei vini di Verona: il bolognese Leandro Alberti, nella sua famosa “Descrittione di tutta Italia”, parlando a lungo del territorio veronese, ripete le solite cose sul famoso vino “retico” di Plinio e sulle lodi che ne aveva tessuto Cassiodoro 20) . Una menzione speciale merita anche il celebre medico e letterato veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553) il quale, 20) Cfr. Alberti L., Descrittione di tutta Italia, Venezia 1561, p. 467. 20