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sia all’estremo Nord (Trentino), sia in Sardegna. Alcuni di essi devono essere certamente d’antica fama. Lo studioso bolognese Piero De’ Crescenzi (1235-1320), infatti, ricorda che fin dal 1300 quest’uva era coltivata pure nel Bolognese 52) . «Oggi, purtroppo, è diventata molto rara… e soltanto in questi ultimi anni… si va cercando di moltipli - carla per riportarla all’antico onore» 53) . Produce abbondantemente e con costanza. Resiste alle malattie crittogamiche più degli altri vitigni coltivati nella zona. Il grappolo è cilindrico-conico, di media grandezza, piuttosto serrato. Gli acini sono rotondi o leggermente ovali, di grandezza non uniforme. La polpa ha sapore sem- plice ed è ricca di mosto. Il vino che se ne ottiene è giallo dorato, chiaro, lucido, adatto all’invecchiamento. Il sapore è asciutto con un piacevolissimo fondo amarognolo, fresco e armonico. Un altro vitigno, da molto tempo coltivato in Toscana e conosciuto qua e là nelle vecchie colture promiscue, è il Canaiolo bianco, chiamato anche “Caccione” (L’Aquila) e “Caccinella” (Chieti). È robusto, abbastanza produttivo, molto resistente alla pe- ronospora, ma poco diffuso. Se ne trova qualche rara coltiva- zione nel Valdarno di Sopra e nei dintorni di Firenze e di Pi- stoia 54) . Nella seconda metà del ’900 la sua coltura appare circoscritta «alle zone di Gaiole (Brolio), San Casciano (Mon- tepaldi), alla Val di Sieve, al Monte Albano (Pistoia) ed al Monte Argentario (Grosseto). È diffuso anche in alcune zone Cfr. De’ Crescenzi P., Trattato della agricoltura, libro IV, Bologna 1784, p. 195. 52) 53) Dalmasso G., Viticoltura, p. 58. 54) Cfr. Marzotto N., Uve, p. 31. 46