un giudizio di merito, assegnava pure un premio ai migliori
produttori dell’annata.
Nel 1673 il cantiniere dei Medici scrive che i vini che
potevano far onore e reggere benissimo al passare del tem-
po e ai disagi della navigazione erano soprattutto il “vino
rosso brusco”, il montepulciano vecchio e i chianti vecchi
buonissimi; tra i rossi amabili, il rosso vecchio e nuovo di
Artimino e Carmignano e il montepulciano vecchio; tra i
bianchi, il trebbiano e la verdea di Carmignano e il “mo-
scadello” di Petraia.
Il granduca Cosimo III (1642-1723), influenzato dalla cul-
tura degli accademici del Cimento e degli allievi di Galileo, di
cui era solito circondarsi, stimolò sempre più la sperimentazio-
ne enologica già in atto nella seconda metà del secolo.
Nelle fattorie di sua proprietà nuove qualità di vitigni si
affiancarono alle vecchie: a Castello, a Careggi e alla Petraia
cominciarono ad essere prodotte altre denominazioni in gra-
do di concorrere col famosissimo “moscadello di Montalci-
no”; il “trebbiano di Valdarno” trovò rivali nei vini di Ca-
stello, di Careggi e Artimino; l’antica “verdea di Arcetri” fu
contrastata da quelle di Ginestra e Artimino.
In alcune fattorie medicee vennero prodotti vini “esclusi-
vi” come il “claretto” o “mezzocolore”, la “lacrima”, la “mal-
vasia”, la “vernaccia”, il “mezzograppolo”, il “francese” e il
“montepulcianese”.
Intanto il vino destinato alla Francia, all’Inghilterra, al-
l’Olanda e alla Spagna prendeva la via dell’Arno, trasporta-
to dai tipici navicelli fluviali a chiglia piatta, per giungere
fino al porto di Livorno – che divenne un vero e proprio
emporio mediterraneo di vini – e riprendere poi la via del
mare per sbarcare, dopo qualche giorno, a Marsiglia, Lon-
dra, Amsterdam, ecc.
Il vino destinato, invece, alla corte imperiale e a quelle
tedesche prendeva la via di terra, ossia la Bolognese del Giogo,
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