Sembra, tuttavia, che a quel tempo le varietà coltivate
fossero meno numerose: Giuseppe Acerbi, nel suo Catalogo di
quasi tutte le viti od uve conosciute in Toscana, agli inizi del se-
colo XIX ne elenca e descrive brevemente solo 87, numero
che però si può ancora ridurre qualora si eliminino alcuni si-
nonimi e alcuni vitigni di scarsissima importanza.
Comunque è certo che la Toscana deve aver avuto nelle
sue campagne numerosi vitigni di varia provenienza, anche
se solo pochi di essi, ossia i più pregiati, finirono con l’avere
il predominio un po’ in tutta la Regione 34) .
Per quel che riguarda l’esportazione all’estero, sappia-
mo che fin dalla metà del secolo XVII ed anche in quello
successivo venivano esportati in Inghilterra, in particolare a
Londra, il Chianti ed altri vini toscani (dai robusti rossi ai
delicati bianchi o chiaretti); per le spedizioni ci si avvaleva
soprattutto di fiaschi di vetro ritenuti più idonei per la con-
servazione 35) . Dal canto suo, a partire dal 1670, il granduca
Cosimo III iniziò ad inviare ogni anno ad alcuni sovrani eu-
ropei coi quali era in rapporti amichevoli (i re di Francia e
d’Inghilterra, l’imperatore d’Austria, l’elettore di Baviera
ecc.) centinaia di casse di vino; in ogni cassa erano conte-
nuti 45 litri conservati in fiaschi, oppure, nel caso della
“verdea” e del “moscatello”, il vino era contenuto in capa-
ci bottiglie.
Il granduca, con il pretesto dell’assaggio, si faceva inviare
ogni anno a Firenze numerose casse di moscatello di Montal-
cino dai vari proprietari di quella località; dopo aver espresso
34)
Cfr. Dalmasso G., Viticoltura, p. 29.
C’erano fiaschi di varia capacità: da 1/2 litro fino a 2 litri, ma si do-
veva fare molta attenzione nel disporli nelle casse da issare a bordo del-
le navi perché, essendo privi di turaccioli, venivano “chiusi” con olio,
che però non doveva riversarsi (cfr. Melis F., Produzione, p. 132).
35)
29