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si vedevano «verdeggiare in pieno vigore vigne di uve mo- scatelle» 32) . E afferma, infine, che i vini ottenuti con le uve dei vi- gneti prossimi a Firenze, ed in particolare quelli di Fiesole, non erano secondi, né per bontà né per quantità, ai vini dei Comuni circostanti la stessa città di Firenze, quali i deliziosi “Trebulani di Valle San Giovanni”, quelli “di San Gimigna- no”, i rossi “di San Cassiano” e i vigorosi “di Montepulciano”. Questi ultimi dovevano essere allora, indubbiamente, i più rinomati: infatti, anche nel secondo anno si mostrava- no profumati, pieni, robusti e resistenti sia in estate che in inverno. Nei due secoli successivi all’opera del Bacci la famiglia Medici contribuì notevolmente ad arricchire sempre più l’ampelografia toscana introducendo nuove viti nelle splen- dide ville di sua proprietà e nei vicini parchi, giardini e vi- gneti. Il Granduca Ferdinando I de’ Medici (Firenze 1549- 1609), ad esempio, fece giungere molti vitigni dalla Corsica, da Napoli, dalla Sicilia, da Creta e dalla Spagna. Ferdinando II (Firenze 1610-1670) si procurò il “Claret- to” dalla Provenza, mentre Cosimo III (Firenze 1642-1723) introdusse pregiati vitigni stranieri nelle sue vigne di Careg- gi, della Topaia, di Castello, d’Artimino, delle Ginestre ecc.: pare siano state addirittura 150 le varietà fatte giungere dalle varie parti d’Europa e dall’Asia 33) ! 32) Bacci A., I vini, p. 41. Le frasi descrittive di queste uve sono riportate nel “Dizionario Bota- nico Italiano” di Ottaviano Targioni Tozzetti del 1858: dall’elenco dei vi- tigni si può notare quanto fosse grande la richiesta “enologica” della To- scana nel secolo XVII. 33) 27