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seguito, quando, sul finire del secolo XVI, emergerà il “bru- nello”, caratteristico proprio di questo luogo. Ed è sempre in questo periodo che il naturalista, e me- dico di papa Sisto V, Andrea Bacci (1524-1600) parla con en- tusiasmo dei vini toscani: inizia da quelli di Cortona, città feconda d’ulivi e di vigneti, dai quali si ottenevano vini gial- lo-dorati ed anche rossi, ma di valore medio. Dei bianchi, chiamati allora “Trebbiani”, afferma che erano buoni sia per i sani che per i convalescenti. Una vera esaltazione prova il Bacci per i Trebbiani di San Giovanni in Val d’Arno, celebri non solo in tutta Italia, ma anche in Francia, molto apprezzati sulle mense dei ricchi e dei principi. Egli narra che, nella ricorrenza della festa del Santo titolare, questo delizioso vino veniva mandato in dono a Roma e nelle grandi città italiane in anfore di vetro; ed era un vino che metteva allegria, «di una dolcezza soave ma non eccessiva,… carezza per le labbra,… accettato senza fastidio dal capo e dallo stomaco…» 24) . Fra quelli che si producevano nell’agro di Lucca, defini- sce eccellente e molto sano un tipo di vino chiamato “Buria- no”, proprio di quei luoghi, «bianco, leggero… di buon odo- re e facile a digerirsi» 25) . Anche i vini prodotti con le uve dell’agro di Pistoia, soprattutto quelli delle colline, vengono da lui definiti di gran pregio, come pure quelli di Arezzo, del Casentino, della Lunigiana ecc. Un accenno particolare, infine, fa il Bacci ai vini della Val di Chianti, i cui colli abbondavano di bianchi e rossi senz’al- tro migliori di tutti quelli da lui nominati in precedenza. Bacci A., I vini Trebulani di San Giovanni in Val d’Arno, in “Storia natu- rale dei vini…”, libro VI, Torino 1990, p. 42. 24) Bacci A., I vini delle campagne di Lucca, in “Storia naturale dei vini…”, p. 39. 25) 20