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le a causa del conflitto mondiale, possiamo ben comprende- re quanto difficili fossero, anche per la vitivinicoltura euga- nea, le possibilità di ripresa. Mentre la fillossera avanzava disastrosamente ed anche altre malattie (le crittogame) venivano a colpire la viticoltura italiana e veneta, si cominciò allora a guardare con minor scetticismo alle viti americane, consapevoli che solo l’innesto su piede americano e l’introduzione di nuove cultivar da Pae- si stranieri, assieme al rinnovamento degli impianti, avrebbe- ro potuto salvare la “vinifera” 33) . Un valido aiuto per la ricostituzione viticola dei Colli venne anche offerto dalla Cattedra Ambulante di Agricoltu- ra, diretta da Guido De Marzi, che bandì dei Concorsi-contri- buto al fine di incentivare tecniche più moderne e nuovi impianti di vigneti specializzati. Nell’anno 1942, nel Gazzettino Agricolo di Padova che riportava i risultati di otto anni di osservazioni, troviamo quanto segue: «Facendo riferimento a quanto è stato precisa- to nel piano di ricostituzione per la nostra provincia, ram- mentiamo che nei nuovi impianti si dovrà dare la preferenza quasi assoluta ai vitigni rossi nella pianura e zona pedecolli- nare e nella collina invece si dovranno preferire quasi esclu- sivamente le qualità bianche» 34) . Fra i vitigni bianchi, considerati tutti perlopiù del mede- simo valore, venivano elencati: il Moscato, la Garganega, la Pinella, la Serprina, il Riesling italico e il Riesling renano. Per la pianura i vitigni rossi, elencati in ordine d’impor- tanza, erano i seguenti: Merlot, Friularo, Raboso veronese, 33) Cfr. Calò A. - Paronetto L. - Rorato G., Storia, p. 320. Miotto G., Le uve da vino in provincia di Padova, in “Il Gazzettino Agri- colo”, n° 18-19, Padova 1942, p. 35. 34) 39