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I secoli XVII e XVIII Nel secolo XVII la viticoltura padovana ebbe a subire uno sviluppo piuttosto disordinato soprattutto nei campi si- tuati in pianura per l’aumentata richiesta di vino tanto da parte della popolazione locale quanto dagli abitanti della Re- pubblica di Venezia. L’agricoltura padano-veneta era stata caratterizzata per se- coli da una coltura promiscua fatta di viti, frumento e mais: i contadini, infatti, negli appezzamenti di terra coltivata a mais e frumento, piantavano file di alberi a cui maritavano le viti, sia per avere il vino per sé e per il padrone, sia per ottenere an- che il legname che quei sostegni vivi potevano, per l’appunto, fornirgli. Si dava la preferenza al noce, al pioppo e all’olmo; tuttavia, nonostante le piccole dimensioni, veniva raccoman- dato pure l’acero in virtù del suo ridotto apparato radicale. Agli inizi del secolo, lo scrittore Andrea Scoto lodava la terra padovana per la sua grande abbondanza di «tutte le co- se necessarie al vivere umano» ed anche per le delizie che of- frivano, in particolare, i Colli Euganei, prima fra tutte il vino «da Plinio annoverato fra i più nobili» 16) . Negli anni a seguire, le piantagioni arboree e soprattut- to la vite furono rese più prospere, ma nelle zone collinari, a causa del degrado ambientale dovuto al disboscamento con conseguente dissesto ecologico, si dovettero emanare dei provvedimenti per la protezione del suolo utilizzando il ter- razzamento o la sistemazione a ciglioni. Se poi a tutto ciò vogliamo aggiungere la profonda de- pressione che l’economia padovana ebbe a subire in seguito al- la pressione fiscale e alla supremazia del mercato di Venezia, 16) Scoto A., Itinerario, Padova 1610, p. 15. 21