Al principio dell’era volgare i Colli Euganei erano effet-
tivamente ammantati di pittoreschi vigneti: ce lo ricorda il
poeta latino Marziale (40-104), in un suo epigramma rivolto
all’amico Clemente e ad una sconosciuta estense, Sabina, nel
quale ricorda così i Colli Euganei e i floridi vigneti: Se pria di
me alla spiaggia d’Elicaone arrivi / Clemente e dell’Euganea sede
ai pampinei clivi; / questi miei carmi inediti, cinti di porporina /
Coperta, reca ed offeri all’estense Sabina 3) .
Del territorio padovano, alcuni scrittori georgici latini,
primi fra tutti il naturalista Plinio il Vecchio (23-79) e
l’agronomo Columella (I sec.), citano le viti della pianura
– umida perché non ancora bonificata – che si coltivavano
nei lunghi filari, maritate al tiglio, al carpino, al pioppo, all’a-
cero, al salice ecc . 4) .
La viticoltura veneta di quei tempi si rifaceva perlopiù
alle tecniche etrusche e i vini di queste terre furono una del-
le cause – assieme all’uso del pane e della carne cotta – del-
l’infiacchimento dei Cimbri che avevano invaso il territorio
nel 100 a. C. circa 5) .
Tuttavia la produzione viticola del Padovano in epoca
romana dev’essere stata piuttosto scarsa, dovendo supplire
esclusivamente al fabbisogno della popolazione contadina, e
perciò fu alquanto ignorata dalla letteratura di quel tempo.
Nei secoli che seguirono la caduta dell’Impero Romano,
anche nel territorio padovano, come in quello delle altre città
3)
Martialis M. V., Epigrammata, X, 93, 1-2, trad. di P. Magenta, Venezia 1842.
«... grazie alla prodigiosa proprietà della vite di assimilare sapori estra-
nei... l’uva raccolta nelle paludi intorno a Padova sa di salice...» (Plinio,
XIV, 110); «Ma anche il corniolo e il carpino e, qualche volta, l’ornello
e il salice sono adoperati da certuni per queste alberate. Però il salice è
bene non metterlo altro che nei luoghi molto acquitrinosi, dove gli al-
tri alberi non possono attecchire...» (Col. V, 7, 1).
4)
5)
Cfr. Calò A. - Paronetto L. - Rorato G., Storia, p. 119.
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