Rendez-vous en France 2017 | Page 8

L I F E S T Y L E I G A S T R O N O M I A I D E S T I N A Z I O N I I P E R S O N A G G I I
L I F E S T Y L E I G A S T R O N O M I A I D E S T I N A Z I O N I I P E R S O N A G G I I
Team architetti al Centre Pompidou 1972
© Studio Piano & Rogers © Fondazione Renzo Piano
Che impresa architetto , cosa ricorda di quel periodo ? Io e Richard Rogers non abbiamo mai pensato di vincere . C ’ erano 681 studi d ’ architettura che partecipavano al concorso . Noi eravamo dei ragazzacci di poco più di trent ’ anni , dopo la consegna del progetto ci siamo rimessi a fare i nostri piccoli progetti senza neppure più pensarci . Ci avevamo provato . E quando venne a sapere che avreste fatto il Centre Pompidou ? Chissà che sorpresa … Quando mi chiamarono da Parigi per comunicarmi che avevo vinto , era nel giugno 1971 , ci ho messo mezz ’ ora per riprendermi dalla sorpresa . Subito non avevo neppure capito anche perché parlavo un francese scolastico : una voce femminile mi continuava a ripetere che ero lauréat e io rispondevo che ero sì laureato , al Politecnico di Milano . E invece ? Invece quella signorina cercava pazientemente di spiegarmi che avevamo vinto il concorso con giudizio unanime , venti giurati su venti avevano scelto il nostro progetto . Ancor oggi non mi capacito che ci abbiano permesso di farlo . Perché ? Perché il Beaubourg è un gesto ribelle . L ’ idea di fare una fabbrica , per quanto culturale , nel centro nobile di Parigi era uno schiaffo . Eravamo nel ’ 71 , a soli tre anni dal ’ 68 , nel periodo in cui i musei erano luoghi noiosi e polverosi . Eravamo giovani e disubbidienti , forse anche leggermente maleducati . Però una cosa l ’ avevamo capita …. Cosa avevate capito ? Che non aveva senso costruire un luogo di cultura tradizionale . L ’ idea di rifiutare l ’ intimidazione tipica del monumento culturale , e invece usare la curiosità , ci fece pensare che questa fabbrica nel Marais potesse diventare l ’ opposto del museo fatto per l ’ élite . Infatti il nostro museo fu considerato una specie di sberleffo . E lo fu . Uno sberleffo che , secondo i maggiori critici , ha rovesciato l ’ architettura mondiale . Ci voleva uno sberleffo . Di sacralità museale non si sentiva la mancanza , anzi . Lo stesso bando di gara , a ben ricordare , già suggeriva di uscire dalle frontiere tipiche della biblioteca e del museo . Parlava di
cultura , ma anche di multifunzionalità . Di arte e di informazione . Di musica , ma anche di design industriale . C ’ era già qualcosa di trasgressivo nell ’ impostazione , bastava tirarlo fuori , spingerlo fino al limite , darne un ’ interpretazione esplicita . Scusi architetto , una curiosità : lei vive ancora a Parigi ? Quello con Parigi è un amore nato tanto tempo fa . Al posto di quello che oggi è il Beaubourg per quattro anni c ’ è stato un enorme cantiere dove andavo tutti i giorni . Penso di non averne saltato uno . Da Londra mi ero trasferito stabilmente a Parigi , prima al 5 di rue Danton e poi qui nel Marais in rue Sainte-Croix de la Bretonnerie . Poi siamo arrivati in rue Des Archives , dove abbiamo trasferito anche lo studio , e infine in place Des Vosges dove vivo tuttora . Insomma ho sempre vissuto qui in zona , non ho mai abbandonato il luogo del misfatto …. Lei ama i cantieri ? Da bambino passavo le giornate in cantiere con mio padre Carlo , che era un piccolo costruttore . Le assicuro che crescere in cantiere lascia delle tracce profonde . Soprattutto l ’ idea che costruire sia un ’ attività straordinaria . I miei primi lavori non erano di architettura , piuttosto espe-

che porta istintivamente a lavorare sul terreno della luce e

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