ma che a furia di spingere si erano incastrati tra loro. Niente e
nessuno avrebbe potuto sciogliere quella dissonante vicinanza.
È strano pensarlo ora, come era strano pensarlo in quel momento,
mentre guardavo un esserino micragnoso in mezzo ad altri esserini
micragnosi, un cucciolo d’uomo tra altri cuccioli d’uomo.
Tu eri il mio e se non fosse stato per la targhetta non avrei neanche
saputo riconoscerti. Non un granché, come padre, eh? Ma te l’ho
detto, è un mestiere che si impara sul campo, e io ero appena stato
preso dalla panchina e sbattuto là a partita già iniziata, senza un
briciolo di riscaldamento. Con il cuore troppo gonfio per farci
entrare uno spillo, figuriamoci un neonato... un figlio.
Non sapevo nulla di te fino a pochi minuti prima, ed erano mesi che
non vedevo tua madre. E in quel momento, stavo dando a lei
l’ultimo saluto e a te... beh, ci aveva già pensato il mondo, a darti il
benvenuto.
Non mi sono chiesto neanche per un attimo come mai non mi avesse
detto di te. Perché quella era lei, semplicemente, e quel silenzio non
era che un’istantanea del suo modo di essere, limpido e coerente dal
primo all’ultimo giorno.
Aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare: guardare avanti.
Io non ero più nella sua vita, tu entravi a farne parte e lei aveva
guardato avanti, come sempre, aggiungendo una nuova nota alla
melodia.
32