Pubblicazioni e documenti Pace di Rivolta d'Adda. Di Alberto Pianazza | Page 13

P A C E d i R i v o l t a d ’ A d d a vivo il ricordo di certe immagini di Maria Bambina sotto una teca di vetro. E capita ancora, ai nostri giorni, di vedere in certe case un qualche angolino sul quale sono posate le fotografie dei propri defunti disposti in bello ordine, magari con un lumino acceso, per ricordarli in modo più vivo, per rivolgere loro un pensiero di suffragio o per invocare il loro aiuto. Nel caso fosse stato veramente un altarino di devozione privata, il cimelio non sarebbe appartenuto originariamente alla chiesa (la sua preghiera ha sempre carattere pubblico e comunitario) ma a qualche famig lia, per di più di censo data la preziosità dell’opera, dalla quale sarebbe passata in dono alla chiesa (secondo quali modalità non sappiamo). A questo proposito il Santambrogio nell’articolo riportato su L’Eco dei Restauri del 1 febbraio 1903 si lancia in suggestive e facili (almeno una) ipotesi.”Ma chi potrebbe rintracciare al giorno d’oggi la provenienza di quel gioiello? Soggiornarono a poca distanza da Treviglio quel Paolo Sforza Caravaggio, figlio naturale di Lodovico il Moro e di Lucrezia Crivelli, e feudatari di Rivolta furono da 1666 in avanti i munifici marchesi Stampa di Soncino e si potrebbe supporre che da quelle illustri famiglie fosse pervenuto per elargizione quel cospicuo oggetto d’arte”. Certo il pensiero agli Stampa è il primo e il più facile che viene in mente, perché essi ebbero per lungo tempo legami con la comunità rivoltana (basti pensare alla ormai soppressa cappella di Santa Caterina e alle opere artistiche e caritative ad essa collegate, come è scritto alle pagine 84 e 85 del volume Rivolta d’Adda e le sue Chiese a cura di Eugenio Calvi, Cesare Sottocorno, Giulio M. Facchetti, M. Luisa Gambini, M. Antonia Moroni). Ma documenti al riguardo finora non se ne sono trovati e l’auspicio del Santambrogio, che “il tempo apporterà qualche luce”, è rimasto tale anche per noi. La Zanni a sua volta dice con decisione: “In realtà questo oggetto è una stauroteca , ovvero un reliquiario della croce destinato all’ostensione”. Non ha importanza che, ai fini della precisione di questa denominazione, il cimelio non contenga effetti- vamente un frammento della croce come di solito i reliquiari tradizionali, perché, secondo la Zanni, la reliquia poteva essere semplicemente rappresentata o dipinta con il simbolo della croce. E il nostro cimelio sul retro rappresenta appunto più che il simbolo della croce, la crocifissione stessa. R e l i q u i a r i o d e l l a C r o c e Destinata ad essere venduta Forse il titolo è un po’ forte ma rende l’idea che mi sono fatta, e cioè che prima o poi per “La Pace” sarebbe finita così. Mentre sfogliavo i documenti di archivio per documentarmi sull’evento della ven- dita de “La Pace” (lasciate che la chiami ancora con il nome tradizionale anche se improprio) mi sembrava di cogliere che dagli anni 1880 fino al 1903 ci fosse stata una specie di impazienza di vendere l’opera: diverse domande all’autorità governativa competente, trattative varie, richieste sul valore economico dell’opera. E tutto questo prima ancora che fosse venduta per affrontare le spese del restauro. E nell’approfondire la lettura mi sono fatto l’idea maliziosa, mi è venuto il sospetto, che l’opera fosse condannata alla vendita, una condanna che prima o poi sarebbe stata eseguita. Senza ergermi a giudice di quanto è stato fatto, fra l’altro in modo trasparente, con tutte le debite autorizzazioni e a un buon fine, mi ha comunque meravigliato, a conferma della mia idea, quanto ho letto in un articolo anonimo su l’Eco dei Restauri del 25 dicembre 1902. L’opera non è stata ancora venduta, ma la cosa pare ormai data per sicura. E l’articolista scrive così (lascio a voi le considerazioni, io ho fatto le mie) su “La Pace”: “Oggetto piccolissimo, non più servibile per il culto, non troppo facile a custodirsi, era per la Chiesa un grattacapo e non altro [!?], perchè di tanto in tanto bisognava rispondere al Governo della sua conservazione, mentre poi facilmente poteva essere rubato o manomesso. Miglior partito era quindi ven- dere il cimelio e liberarsi [!?] d’ogni responsabilità”. Dall’articolista (non per fortuna dalla Fabbriceria, come vedremo più avanti) la vendita non è vista, come un sacrificio doloroso ma necessario in vista dei grossi impegni economici per riportare la chiesa parrocchiale alle sue linee primitive, ma una liberazione da un grattacapo (sai che fatica rendere conto della conservazio- ne dell’opera!) e da ogni responsabilità. Nessun rincrescimento, insomma, ma un sospiro di sollievo. E allora ripercorriamo i tentativi di vendere l’opera che si collocano prima del 1902, quando incomincia l’iter per la sua vendita al Poldi Pezzoli. Le due definizioni mi pare però che non siano in contrasto, tanto è vero che la stessa Zanni poco prima, parlando di questo oggetto, lo denomina con il termine altarolo. Solo che se fosse così a me pare che il suo utilizzo originario non sarebbe stato quello dell’ostensione (è troppo piccolo per essere visto dagli ultimi, ma forse anche penultimi, posti di una chiesa di medie proporzioni, non parliamo di una più grande) ma quello della devozione privata. Tanto da poter dire: è una stauroteca che serviva da altarino per la devozione privata; oppure è un altarino devozionale nella forma di reliquiario della croce. Il primo tentativo documentato risale al 1880. La motivazione addotta, che sarà poi successivamente ripetuta con qualche variate o aggiunta, è di carattere eco- nomico. La Fabbriceria ritiene di poter provvedere alle necessità della chiesa, che è povera, attraverso la vendita del cimelio dalla quale potrebbe ricavare una notevole somma di denaro. “La locale Fabbriceria onde poter provvedere a tanti bisogni di questa chiesa povera, è venuta nella determinazione di vendere il suddetto oggetto, persuasa di ritrarne una rilevante somma, che impiegata in rendita pub- blica, gli annui interessi servirebbero a provvedere di arredi sacri la chiesa stessa” (Domanda alla Inclita Regia Prefettura Provinciale di Cremona 5 Dicembre 1880). 22 23