Pubblicazioni e documenti Il borgo sull'alta riva: Castrum Ripaltae Siccae. | Page 81

lità, nè Federico osò provocarli sentendosi ancora troppo debole. L'abile sovrano si limitò a temporeggiare, riconoscendo piuttosto vagamente il diritto ai Comuni di desi- gnare un podestà che, pur in posizione subalterna ai consoli, rappresentasse nelle varie città il potere imperiale. Scomparso però il mite Onorio III, e divenuto papa Gregorio IX, apertamente ostile all'imperatore, dopo essersi abilmente destreggiato tra Lega Lombarda e pontefice, Federico affrontò i Comuni a Cortenova, tra il Serio e l'Oglio, il 27 novembre 1237, e li sconfisse duramente. I Milanesi, in particolare, perduto il Carroccio che il vincitore farà poi orgogliosamente portare a Roma ed esporre sul Campidoglio, si sban- darono disordinati lasciando il campo gremito di cadaveri (tra morti e prigionieri - secondo quanto scrive- va Federico al duca di Lorena - quella sconfitta causò ai Guelfi un vuoto di 10.000 uomini). I superstiti inseguiti dai Bergamaschi (alleati per l'occasione con l'imperatore), furono portati in salvo da Pagano della Torre accorso coi suoi montanari dalla Valsassina, e ricondotti a Milano sotto buona scorta quando le strade ridivennero sicure. Con questo gesto, Pagano della Torre si conquistò quel titolo di "Protettore del popolo" (Galv. Flam. Manip. Flor. ad ann. 1240) che in seguito porterà lui e i suoi discen- denti ad avere la signoria di Milano guelfa, avversa alla nobiltà ghibellina capeggiata dai Visconti. "La vittoria di Cortenova (Castiglioni, op, cit,) fu però un successo momentaneo ed incompleto per Fede- rico II, che aveva vinto più con le armi delle città ghibelline avverse a Milano che con milizie tedesche. Perciò l'imperatore non poteva nulla ricuperare dall'autorità perduta a Legnano e nessuna imposizione potè fare in suo favore nè ai vinti della Lega nè alle città ghibelline dalle quali poteva considerarsi domi- nato. Nessun trattato di pace tenne dietro alla battaglia di Cortenova. Federico pretendeva dai Milanesi la resa a discrezione della città, ma gli ambrosiani, tutt'altro che domi, ruppero sdegnosamente le trattative deliberati di resistere fino all'ultimo. E l'esempio di Milano fu seguito da buona parte delle città della Lega. Passato l'inverno, Federico ordinò l'assedio alla città di Brescia per isolare Milano prima di assalirla. Ma le milizie ghibelline nell'agosto (1238), perduta ogni speranza di riuscita, se ne partirono." Primavera del 1238. L'esercito imperiale muove verso Milano seminando al suo passaggio devastazione e terrore. Giunto a Camporgnano, si accampa, mentre Federico, salendo sull'alta Torre degli Scampi (vedi Corio, Storia di Milano, parte II, cap. III; e anche il Muratori e il Fiamma) accompagnato da disertori milanesi, contempla stupefatto la moltitudine dei nemici pronti ad affrontarlo. Non passò molto tempo. In tre sanguinosi scontri, prima a Cassino Scannasio, poi a Lacchiarella e infine nella campagna tra Besate e Casorate, l'esercito imperiale viene rotto e messo in fuga. L'Imperatore, dopo questi umilianti insuccessi, abbandonò la Lombardia e andò in Toscana covando una vendetta che, a causa di troppe circostanze sfavorevoli, potè mettere in atto solo sei anni dopo. Ancora una volta però apparve chiaro che i disegni di quell'uomo, rivolti a sottomettere i Comuni dell' Italia del Nord alla sua autorità suprema, erano quelli di uno che si era ormai messo fuori della Storia. "Egli dimostrava - dice Paolo Brezzi, op. cit., pag. 399 - soprattutto di non conoscere abbastanza l'animo e le possibilità dei cittadini italiani e benché facesse distinzione fra l'assolutismo dell'Italia Meridionale e il riconoscimento di una limitata autonomia comunale nelle altre regioni, non comprendeva che le sue richieste erano anacronistiche e potevano convertirsi in un pericolo per lui qualora le città, offese nel loro onore, gli si mostrassero ostili. Il suo grandioso tentativo di restau-