Pubblicazioni e documenti Il borgo sull'alta riva: Castrum Ripaltae Siccae. | Page 51

naria imponenza, che fece esclamare al Nava – agli inizi del ‘900 -: “ Ditemi quando è stata costrui- ta la Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, e io vi dirò quando è stata costruita la basilica di S. Sigi- smondo a Rivolta!", intendendo con questo che le due basiliche sono sostanzialmente coeve, ed è diffìcile stabilire se quella di Rivolta fu la prova generale per costruire la basilica di S. Ambrogio, o se invece fu la copia in misura ridotta di quella che era appena stata costruita a Milano. Dopo la distruzione di Milano, il Barbarossa soggiornò nel monastero di S. Ambrogio, sia nel 1162 che nel 1182 (vedi "Storia del "Burgus de Anticiaco"): quindi, nonostante tutto aveva la buona abitudine di rispettare i luoghi sacri. Ma, stando a quanto affermano il Calvi Parisetti e il Libutti ne "II valico di Cassano, in terra d'Adda", ricavando la notizia da Sire Raul ("De gestibus imperatoris Friderici") e dal Corio ("Storia d'Italia", parte III°), Rivolta era già stata rasa al suolo nel primo passaggio del sovrano teutonico, l'estate dell'anno 1158. Quindi ben poco doveva ancora esserci di questo povero paese: tant'è vero che persino il prevosto Alberto Quadrelli si era dovuto rifugiare a Bergamo. La resa Milano, piegata dalla forza militare del nemico, ma soprattutto dalla fame e dalla morìa, si arrese. Lasciamo la parola a Ludovico Antonio Muratori, che in questo passo degli "Annali d'Italia" non solo ci descrive la tragica vicenda con scrupolosa esattezza documentale, ma ci fa comprendere - da eccezionale storiografo illuminista qual era - che protagonista della storia non è più il "principe", ma il popolo, e supremo ideale politico non è più la potenza, ma la "pubblica utilità". ..."Famosissimo divenne quest'anno (il 1162), perché in esso finalmente venne fatto all'imperador Federigo di vedere a' suoi piedi il popolo di Milano e di potere sfogare contra della loro città il suo barbarico sdegno. Il guasto dato a tutti i contorni di Milano avea privato di viveri quel valoroso popolo, nè restava speranza nè maniera di cavarne dai vicini, perché tutti all'incontro erano lor nemici e collegati per rovina di quell'illustre città. La sola città di Piacenza avrebbe potuto o voluto soccorrere; ma v'era impedita dall'armi di Federigo, acquartierato apposta a Lodi che facea battere le strade e tagliar crudelmente la mano a destra a chiunque era colto portante vettovaglia a Milano. Però si cominciò stranamente a penuriare in essa città, e alla penuria tenne dietro una grave discor- dia tra i cittadini, cioè tra i padri e i figliuoli, i mariti e le mogli e i fratelli, gridando alcuni che s'aveva a rendere la città ed altri sostenendo che no: laonde accadevano continue risse fra loro. Si aggiunse che i principali formarono una segreta congiura di dar fine a tanti guai, in guisa che pre- valse il sentimento accompagnato da minaccie di chi proponeva la resa e fu preso il partito d'inviare a trattar di pace. Iti gli ambasciatori a Lodi, proposero di spianare per onor dell'imperatore in sei luoghi le mura e le fosse della città. Federigo col parere de' suoi prìncipi e de' Pavesi, Cremonesi, Comaschi ed altri popoli nemici di Milano, stette fisso in volerli a sua discrezione senza patto alcuno. Durissima parve tal condizione, ma il timore di peggio indusse i Milanesi ad accomodarsi al fierissimo rovescio della lor fortuna. Pertanto nel primo giorno di marzo vennero a Lodi i consoli di Milano, cioè Ottone Visconte, Amizone da Porta Romana, Anselmo da Mandello, Anselmo dall'Orto, con altri; e colle spade nude in mano, siccome nobili, giurarono di fare quello che piaces- se all'imperadore e che lo stesso giuramento si presterebbe da tutto il loro popolo. Nella seguente mattina comparvero trecento soldati a cavallo milanesi, che rassegnarono a Federigo le lor bandiere e insieme le chiavi della città. Nel martedì vennero circa mille