Pubblicazioni e documenti Il borgo sull'alta riva: Castrum Ripaltae Siccae. | Page 38

I documenti poi che riguardano Farinate, Rivolta e Dovera, appartengono pure tutti a questo torno di tempo (1090 e 1106 per Rivolta; 1114 per Farinate e Dovera). …Nel 1098 veniva deposto nel sinodo milanese il vescovo Arnolfo, perché scismatico (cfr. Savio - p. I Vol. II° - Bergamo pag. 57). ... Ritengo pertanto che la storia di Parrasio abbia qualche serio fondamento di verità... Qualche cosa deve necessariamente esserci stato perché solo in tal modo si possono spiegare molti o tutti i fatti suaccennati. Parlando della distruzione di Parrasio si accenna sempre ad una eresia (antropomorfìta): ora tale eresia potrebbe anche riconnettersi al famoso scisma di Aquileia, durato fino verso il 698 (Paolo Diacono, VI°, 14)." Più convincente è la posizione dello storico Don Luigi Coti Zelati, che, come "curato perpetuo" di Palaz- zo Pignano ha potuto consultarne diligentemente gli Archivi Parrocchiali (oltre ai suoi conclamati meriti di solerte archeologo), e in una sua opera data alle stampe pochi anni fa, ha potuto mettere in chiaro come - se per la distruzione attribuita all'anno 951 possono ancora sussistere delle incertezze - non è più da porre in dubbio la distruzione di Parrasio, avvenuta nel 1061 per opera dei Milanesi in alleanza con i Piacentini e i Lodigiani, decisi a stroncare per sempre le mire espansionistiche di Pavia. Riportiamo la conclusione di questa lotta che ebbe inizio nel 1059, quando Parasso si schierò per sua sventura con Pavia che aveva rifiutato di ricevere il Vescovo assegnatole dall'imperatore Enrico III°. "La lotta deve essere stata molto aspra e dura e Palazzo era a quel tempo forse una città forte e fiera, se per domarla si impiegò un esercito numeroso sotto la guida personale dell'Arcivescovo. Dopo un assedio certamente non breve le soverchianti forze nemiche stroncarono la strenua resistenza della piccola città che venne saccheggiata, incendiata e rasa al suolo. Gli abitanti scampati alla morte, trovarono rifugio nella vicina città di Crema. Sulle fumanti rovine, alta e spettrale, la mole romanica della chiesa plebana di S. Martino, squarciata per tutta la sua lunghezza e in parte demolita, rimase sola, come un richiamo di vita nel desolante scenario di distruzione e di morte." (Palazzo Pignano, cap. IlI°, pag. 41). Premesso tutto questo, c'è da chiedersi se il nostro paese non sia stato in qualche modo coinvolto in que- sto confuso succedersi di supremazie e dominazioni, o se - per la sua posizione tangenziale alle zone contese, o per il suo scarso interesse sul piano politico e economico - non si sia trovato esclusivamente nella scomoda condizione di spettatore all'avvicendarsi di tanti ambiziosi progetti di conquista da parte dei reggitori delle grosse città confinanti, col pericolo di trovarsi inopinatamente malconciato dalle solda- tesche di passaggio, come la storia ci insegna che avvenne in molte altre circostanze. Come poi fosse organizzato questo paese, non riusciamo proprio a sapere. Per lo Scaramuzza, Rivolta dovette essere organizzata (a prescindere da quel che fu in tempi più remoti) sul tipo di quelle "affratationes" di uomini liberi che erano riusciti ad evitare di doversi assoggettare, almeno materialmente se non proprio dal punto di vista formale, ai potenti vicini, soverchiatori di natura e smaniosi di offrire la propria non disinteressata protezione. Che Rivolta fosse, in sostanza, un protettorato (o un dominio) diretto o indiretto della grande famiglia dei De Capitani di Arzago non c'è dubbio. I De Capitani - a detta del Giulini - possedevano molte terre nel nostro paese, e la loro presenza, legati come erano per illustre parentela ai maggiorenti di Milano, può avere stornato gli ambiziosi disegni di molti. Sta di fatto che quando esaminiamo la Bolla del Papa Ales-