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Giorgio Strehler, appunti di regia del Nost Milan: la povera gent Per la prima edizione del 1955 C R ONOLO G I C A M ENTE El nost Milan (1893) occupa nella produzione di Bertolazzi uno dei primissimi posti. Succede alle giovanili “scene della vita” pubblicate in Preludio e ne è come la prosecuzione e la conclusione. Ma se fra i quattro testi di Preludio (Ona scena della vita, I benis de spos, In verzee, Al mont de Pietaa) e la più vasta opera successiva intercorrono delle relazioni filo- logiche innegabili, più sottile e meno appariscente è il filo espressivo che dalle sperimentazioni di Preludio conduce a El nost Milan. Tecnicamente, l’opera è costruita secondo la maniera adottata in precedenza dall’autore; Bertolazzi la dichiara “commedia in quattro atti”, poi, ad apertura di pagina, si scopre che i quattro atti sono quattro scene giustapposte, collegate soltanto da una tenue vicenda che vi si dipana a scatti brevi e secchi: la storia di Nina, della sua soggezione a Carloeu detto il Togass esponente della malavita milanese, e della uccisione di Carloeu da parte del padre di lei. Dal punto di vista espressivo, dicevamo, le cose cambiano assai. La necessità di dare vita psicologica ad un corpo estraneo insinuato in un ambiente che pare mosso soltanto da ragioni fisiche e fisiologiche costringe Bertolazzi a trovare un livello medio di teatralità e a riscattare, pertanto, le ingenuità coloristiche e macchiettistiche che costituivano i difetti più evidenti delle scene staccate pubblicate in Preludio. L’ambiente si anima, i suoni diventano voci, le ombre figure; i personaggi che operano sullo sfondo acquistano una fisionomia indi- viduabile. Mescolandosi alla vicenda principale, le loro storie ne traggono echi e sonorità nuove, profondità e moralità impreviste. Ne risulta una storia popolare di stampo portiano, corrosiva ed amara, dove le classi popolari milanesi non si agitano più come elementi generici di una scenografia inevitabile, ma diventano protagoniste di un dramma le cui cause, vicine e lontane, cominciano a delinearsi non più soltanto come castighi divini, pestilenze e simili. Tutto questo con una chiarezza molto relativa. La caratte- ristica principale dell’opera, del resto, consiste proprio in questo baluginio di verità non ancora chiare; baluginio che si esprime attraverso una continua for- zatura del senso delle parole, dei discorsi, delle accuse, una ricorrente impun- 28 tatura dei sentimenti e delle passioni che non riescono a mantenersi dentro la linea del dialetto e cercano, nei gesti e nelle cose, nuovi simboli espressivi. È un dramma a mezza voce, El nost Milan, un dramma continuamente riman- dato e rimuginato e rideciso e riaccantonato, che si compone in una linea gri- gia che ha i sobbalzi di una miccia. E forse per questo le poche grida decisive di Nina e di suo padre vi assumono un rilevo tragico. (dal programma di sala El nost Milan 1955-56, Archivio Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa). Per la terza edizione del 1979 la breve nota che scrivemmo sul programma del 1955 ne condividiamo ancora la linea critica. C’è piuttosto da chiedersi quanto della verità di ieri, quanto delle ragioni che ci spinsero un tempo a rappresentarlo, questo Nost Milan, possono trovare riscontro nel nostro oggi. R ILE G G EN D O Qui il pubblico sarà il critico più legittimo. Come sempre a teatro. E noi inter- preti aspettiamo, come sempre, con trepidazione e umiltà questo incontro, che per noi del Piccolo ha sempre contato più di tutto. Ma anche con una in- teriore certezza della necessità che ci ha spinto a proporre ancora – a distanza ed in modo simile e diverso - il nostro lavoro di teatro, alla collettività. Non come patetica reliquia del passato ma come un mezzo per allacciare il passato al presente e per conoscerlo meglio. Lavorando sul testo del Nost Milan, a distanza di tanti anni, quello di Bertolazzi e quello della sua riduzione per lo spettacolo, ho comparato le differenze, ho cercato di ritrovare le ragioni di certe scelte, di certi spostamenti e di certi tagli, insomma ho ripercorso il lavoro critico che feci d’impeto in un’estate del 1955, davanti alla “necessità” di una rappresentazione immediata. Fu un lavoro ra pido, fatto di decisioni che oggi mi appaiono perentorie e qua- si temerarie. Ma fu come sempre un lavoro di amore, pieno di rispetto per l’opera, per le ragioni che l’hanno fatta nascere (almeno per quelle che io ho D E S T I N B A L O S S ! C A R L O B E R T O L A Z Z I A C E N T O A N N I D A L L A M O R T E 29