L’antico mestiere dell’allenatore non è mai
semplice. A parole sembrano bravi tutti, tanto da
poter dispensar consigli a Bonitta e Prandelli; a fatti
il tecnico, a prescindere dallo sport, è una passione,
una missione quasi sacerdotale. “La passione per la
pallavolo è nata grazie ai miei fratelli maggiori Luigi,
Mariano, Erminio e Damiana: prima ho praticato,
come tutti i ragazzi, calcio e atletica, ma seguendoli
è nato l’amore per questo sport. La missione è nata,
quasi per caso, quando al mio paese mi hanno chiesto
di seguire le squadre di pallavolo maschili”. Da lì è
arrivata la chiamata di Orzinuovi che allora militava
in serie C femminile (1996/1997), l’incipit di una
straordinaria carriera. “Le donne hanno una tenacia
diversa rispetto agli uomini, una tenacia che le porta
ad affrontare i problemi giorno per giorno, una
costanza e dedizione al lavoro incredibile. Conoscerle
e capirle è una base solida per il rapporto di lavoro in
palestra”.
Maschile e femminile, divergenze parallele
chiuse nel cuore della medesima passione per lo
stesso sport. “La pallavolo è uguale ovunque, bisogna
saperla interpretare ed amare. In Brasile, ad esempio,
molti allenatori cambiano spesso e volentieri squadre
a prescindere dal sesso. In Europa ed in Italia, invece,
sembra quasi che ci si specializzi nella versione
maschile o femminile dello stesso sport”. Il ruolo
dell’allenatore è un lavoro difficile ma altrettante
affascinante che divide in un lampo l’altare della
gloria alla polvere del dimenticatoio. “Il rapporto
con le persone con cui si lavora è fondamentale. Il
confronto quotidiano con staff, dirigenza e atlete è
essenziale; bisogna vivere lo sport nella sua gioia,
drammaticità, nell’adrenalina nel preparare la gara,
viverla, la trasferta, le emozioni che queste regalano.
Non dipende dalle categorie, vivo allo stesso modo
il punto della serie A come la gioia di una bambina
che cresce in un torneo di minivolley o ad un camp
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