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In quei due anni in azzurro, Silvia ha
l’occasione di conoscere veramente se stessa,
e di prendere le misure reali di ambizioni e
capacità: “Ho vissuto come una pallavolista
professionista,
nonostante
l’impegno
scolastico non fosse assolutamente secondario,
e questo mi ha fatto capire molte cose di quale
fosse la sostanza del mio sogno. Non l’ho
ridimensionato, ma mi sono guardata allo
specchio chiedendomi realmente cosa avrei
potuto fare nel mondo della pallavolo. Insieme
a me c’erano le più forti coetanee d’Italia,
vedevo le loro potenzialità fisiche, maggiori
delle mie, e anche in alcune qualità tecniche
che io dovevo ancora acquisire. Ho capito
anche cosa della pallavolo mi importasse
realmente: la squadra, la condivisione di un
obiettivo, più o meno prestigioso, la possibilità
di vestire una maglia e di sudare per portarla
alla vittoria, sia che valga una promozione,
sia che valga una salvezza. Era stata la mia
esperienza, e volevo che continuasse ad
esserlo: volevo che la pallavolo continuasse
ad avere il volto – i volti – che avevo lasciato
a Conegliano, e non solo per una questione
di nostalgia. Ringrazierò sempre chi mi
ha allenato duramente per due anni: non
sarei l’atleta e la persona che sono senza
l’esperienza del Club Italia”.
VOLI
LA
quale mettersi completamente in gioco. Così
ho fatto, attraversando naturalmente molti
momenti difficili, come tutte le mie compagne
nella stessa condizione. Avevo lasciato una
squadra alla quale ero molto affezionata e
con la quale avevo conquistato le mie prime
vittorie, ma le motivazioni erano molto
grandi”.
.PAL
WW
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