LA STORIA SIAMO NOI
LA MIA PALLAVOLO
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Sono trascorsi diversi anni da
quando nella pallavolo femminile
italiana l’egemonia aveva due soli
colori, il giallo e il rosso della Ravenna
marchiata Teodora. Pallavolo, e non
volley: stiamo parlando di quella
giocata sui parquet, e non sui taraflex,
di quella giocata con il pallone bianco,
e non tricolore. Di quella imparata
rigorosamente con il muro come primo
compagno di squadra, di quella delle
ripetizioni fino allo sfinimento. Di
quella che per reggerla, bisogna davvero
amarla, più di se stessi, perché è solo
giocando che ci si ritrova, che ci si
riconosce.
Questa pallavolo ce la racconta
Liliana Bernardi: un centrale che oggi
definiremmo atipico, un centrale che
oggi forse non farebbe nemmeno il
centrale. 174 centimetri, nella pallavolo
moderna sono roba da libero, o al
massimo da schiacciatrice, ma devi
essere
proprio
una
campionessa.
Liliana era un centrale: saltava come
un grillo, ma soprattutto sapeva giocare
a pallavolo, e aveva dalla sua parte
quella che lei stessa definisce l’unica,
ovvero Manu Benelli. Liliana oggi non
avrebbe fatto il centrale, ma allora è
stata chiamata a far parte della quadra
del Resto del Mondo, unica giocatrice