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ter entrare in campo e fare il mio gioco.
Di una cosa, inevitabilmente, si sente la mancanza quando si smette di giocare, ovvero della possibilità di scaricare l’adrenalina con un’esultanza o
con un gesto atletico risolutivo, come una schiacciata, una battuta o un pallonetto di seconda intenzione! Ho scoperto che dopo tanti anni di agonismo ad
alto livello l’attività fisica deve appartenere ad uno
stile di vita, non soltanto per compensazione, ma
per rendere positivamente dinamico un nuovo equilibrio. Così è cominciata la ricerca nelle palestre di
discipline adatte alle mie esigenze, che fossero per
me stessa uno spazio di distensione, ma anche di
evoluzione. Ne pratico due, apparentemente distanti
tra loro, eppure egualmente importanti: Kick boxing
– la valvola di sfogo per eccellenza! - e ashtanga, una
disciplina yoga che mi ha insegnato a creare per me
stessa uno spazio meditativo, nella ricerca di superare alcuni limiti e di trovare sempre nuove risorse
in se stessi, il tutto attraverso il corpo, mai abbastanza ascoltato, anche se forse è l’arma più potente che
possediamo per scoprire e raccontare noi stessi.
La pallavolo, quindi, in un modo o nell’altro, è
rimasta dentro la mia vita, e non poteva essere altrimenti, perché è stato questo sport a darmi la forma
che possiedo. Nostalgia della vita di un tempo non
ne ho, perché la scelta che ho fatto è stata consapevole: mi mancano ad esempio i ritmi scanditi della
vita di uno sportivo, ma d’altra parte una delle cose
che non sopportavo più era proprio il fatto di non
essere padrone del mio tempo, di non poter scegliere sempre dove, cosa e quando mangiare, di non poter dettare io il ritmo delle mi giornate. Mi manca
la condivisione costante e profonda, quotidiana, che
potevo avere con le mie compagne di squadra, legame irripetibile perché difficilmente si possono ripetere le condizioni di qualità e quantità di tempo
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