FENOMENI
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e, proprio per la mia giovane età, non
avevo paura, ero spregiudicato, non sentivo
alcuna responsabilità e non c’era quella
consapevolezza che se perdi, perdi una
grossa opportunità, se vinci, entri nella
storia. La giornata della finale l’ho vissuta
con molta tranquillità. Nella mia mente
avevo un solo obiettivo: battere Cuba, perché
non ne potevo più di perdere contro di loro.
Durante la finale, l’aver vinto il primo set e il
giocare punto a punto ci diede quella fiducia
e quella sicurezza che ci erano sempre
mancati. Quella volta Cuba si era trovata di
fronte una squadra che, per la prima volta,
riusciva a tenergli testa. Io la partita l’ho
vissuta dalla panchina e sicuramente ho
avuto una visione più lucida di quello che
stava succedendo, rispetto ai miei compagni
in campo. Noi ci siamo sempre mossi come
una squadra, nel bene e nel male, e questo
è stato il nostro punto di forza. Nei time out
si ascoltavano le parole di Julio Velasco e
tra noi giocatori c’era molta comunicazione.
Quando l’ultima palla cadde a terra ho
pensato a una cosa sola: LI ABBIAMO
BATTUTI! Solo alla sera però ho realizzato