tifoseria stupenda, che abbiamo toccato”), arriva la
chiamata di Monza. “Con la presidentessa Alessandra
Marzari avevamo già quasi definito dopo il mio addio
a Busnago, poi arrivò la chiamata di Piacenza e lei
comprese quanto quell’esperienza rappresentasse per
me. Mi ha voluto riproporre l’occasione adesso e spero
di essere arrivato qui migliore di quando avevamo
parlato ai tempi. In più, la missione di cercare la
promozione in serie A1 è un grande stimolo”.
Femminile agli esordi milanesi e giovanile
maschile di alta qualità all’Asystel; poi femminile di
livello alto a Merate e Busnago e maschile di vertice
nazionale e continentale a Piacenza; quindi serie A2
da corsa a Monza. Arriva il momento di indagare un
tema che appassiona spettatori e addetti ai lavori,
con sostenitori e tifosi di una o dell’altra superiorità:
meglio il volley maschile o il volley femminile?
“Allora, punto primo: esistono situazioni differenti,
ma non li ritengo due tipi di pallavolo completamente
estranei. Certo, la serie A1 maschile è veramente un
mondo peculiare, ma la proporzionale crescita fisica e
atletica del volley femminile dà spunti di collegamento.
Il lavoro tattico a muro nel settore femminile sta
salendo di importanza, mentre analizzando i dati
si scopre come in un mondo maschile dominato dal
servizio in salto alla massima potenza, sono poi i
turni efficaci di jump-float a scavare break decisivi.
Allo stesso modo, il salto spin nel volley femminile si
sta diffondendo, e alcuni esempi di squadroni vincenti
di uomini come Brasile e Usa testimoniano che è
produttivo difendere ai massimi livelli. Insomma, io
penso che l’osmosi di alcuni fondamentali e di alcune
situazioni, con i dovuti parametri ed accorgimenti, sia
possibile e utile”. Allo stesso modo, esistono alcune
differenze certificate che rendono peculiari i due
settori: “Giocando l’A2 femminile, vedo come l’attacco
trova difficoltà ad essere efficiente anche con ricezione
perfetta, i dati di cambio palla restano limitati anche
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