OC PRESS Rivista Opera Commons 2018 aprile maggio giugno | Page 7
La rivoluzione esige la concentrazio-
ne. Nel corso dei secoli tanto s’è tentato
al disvelamento dei misteri insondati
dell’Universo. A ben pensarci i misteri
non sarebbero più tali in presenza di
nozioni. L’intuizione diventa strategia
che a sua volta avanza in teoria. Il metodo
di ricerca fa la differenza, ma la differenza
non ricerca mai il metodo. L’uno o l’altro
son questioni terminologiche, di linguag-
gio. Tra il XVI e il XVI secolo la convergen-
za tra il vecchio e il nuovo pose una pietra
fondante nella scienza del Seicento e di
tutto quel che più avanti ne conseguì per
filiazione inevitabile. Dio poteva essere
(ancora) contemplato al pari dell’ermeti-
smo e dell’alchemica manipolazione
della materia. Già allora si intendeva
liquidare la filosofia, secoli prima che
Giovanni Papini la riconoscesse “cancrena
al cervelletto” (cit. da Antonio Gramsci).
Il commento del giardiniere rinvenuto
della tavola dello smeraldo conteneva il
nocciolo degli insegnamenti di Ermete
Trismegisto: celare la scienza dietro le
parole dei filosofi non serviva a niente
allorché opera la dottrina del santo
spirito. La divisione dei saperi ha indub-
biamente ottenebrato le nostre risorse
intellettive, volgendole a una frammenta-
zione parassitaria che della magia non
più conserva l’arte dello stupirsi. Restano
solo gli indici. Ridotta a mera enclave di
numeri di avanspettacolo - inframezzati
da esperimenti di escapologia e pateti-
che maratone brevi sui carboni ardenti -,
la magia è stata confinata nel novero
delle credenze antiche. Il sapere che il
Padre Eterno ha donato agli uomini si
svilisce giocoforza nell’estetica del
frammento post-moderno, il quale
riconosce tutt’al più una e X “correnti di
pensiero”. Non basteranno le opere per la
salvezza - più volte ci è stato detto -
eppure non nascono che opere attorno a
noi. Esse sopravanzano gli uomini. Non
basteranno gli scritti ché l’apatia borghe-
se ne ha debellato il bisogno e di questi
ultimi messo a tacere la fame.
Nel Picatrix si dice che Dio è l’unica
filosofia perfe�a. Il suo dono di conoscen-
za ha permesso agli uomini di poterne
negare l’esistenza, di sperimentare la giustifi-
cazione del proprio stare-al-mondo. In assen-
za di intendimento e spirito non può darsi
negromazia: i morti son mobili per le strade
cittadine, nei piccoli centri, nelle contrade.
Non si evocano ma si rappresentano nei
mezzi tecnologici. La forma come urgenza
che anticipa il contenuto è stata livellata
dalle società per azioni. Resta il dubbio se si
possa fare i conti con la magia in quanto
istanza di riconoscimento del mondo e delle
sue immagini. Prima ancora che la cultura
moderna virasse su una concezione dialetti-
ca tra soggetto e oggetto, l’uno e il duale
coincidevano del divino; era dunque possibi-
le tracciare scienze nelle quale i segreti
andavano disvelati nel recondito intreccio in
cui micro e macrocosmo si circostanziavano
specularmente nella replica a proprio
vantaggio di quelle scoperte. Se nel medioe-
vo il rapporto tra le pratiche magiche e
l’uomo implicava una subordinazione ai
disegni primigeni, con Pico della Mirandola si
ebbe una svolta: era possibile coniugarsi al
mondo per mezzo delle pratiche magiche. La
materia si astralizzava, le stelle potevano
essere toccate, si poteva esser stella, toccarsi.
A ben guardare fu proprio Leonardo Da Vinci
il pioniere involontario delle realtà integrate:
teoria e pratica venivano accorpate, senso ed
esperienza piazzati a comune denominatore
dell’avanzamento. Le certezze secolari vanno
disgregate e la dottrina tumulata in uno
spirito piano e sempre uguale. Tutto quel che
intendiamo di ‘interiorità’ passa attraverso
l’immagine e al dovere della proprietà.
Nel numero di magia coincidono la ripro-
duzione e l’esecuzione. A monte v’è un
copione che intercede nella destrezza
manuale; sul proscenio si divincolano le
istruzioni del testo e si suona ciò che stupore
dovrebbe darci. Ma è come un disco ascolta-
to per l’ennesima volta: sappiamo che prima
o dopo quel bridge c’è un assolo di sax
tenore. Mai ci si appagherà di una verità che
appare limitata, ancor meno nel nostro
mondo secolarizzato. Varcare la soglia del
risaputo sembra sia (diventato) il chiodo fisso
dei frequentatori abituali del teatro dei
ruoli. Non si ubbidisce più ai potenti,
perlomeno non direttamente; il cabotin
una volta deriso diviene unità di misura
del vigente sovrano egolatra parcellizza-
to in piccole unità individuali. La voglia di
Aldilà non è più condivisa. Il principio del
piacere andrebbe ricercato in questo
grande assente del Dio. Simulare la pazzia
come Tommaso Campanella non è più
sufficiente per sfuggire alla morte; laddo-
ve egli condannava l’erudizione, gli
attuali strateghi del disinteresse scolariz-
zato la celebrano come l’ultima delle
infinite prime pietre che moltiplicheran-
no i palazzi del potere. Si allarga la forbice
tra ricchi e poveri, si restringe quella tra
bravi e cattivi prestidigitatori. Corruzione
della cultura media, il sole della città,
celebrazione del Bacone e delle sue
rotture sapienziali, la settorializzazione
elencativa che tanto foraggia le sette
malvagie che ci dominano dal paravento
dello spettacolo. Se l’uomo medio
descritto da Eco nella Fenomenologia si
stupiva che ad una domanda potesse
esserci più di una risposta, l’uomo media-
le non si arrende all’evenienza che una
sola risposta possa reggere diverse
domande inevitabilmente complementa-
ri. Può esserci magia nel quotidiano?
Esiste un astratto reale? Finzione e realtà
sono la stessa cosa? Il “nuovo” (sic) appro-
do baconiano è la casa di Salomone,
tempio laico delle scienze naturali -
contrapposto alla casa del sole di campa-
nelliana memoria perduta. È piuttosto
nell’ottica di Frazer che la magia ci piace
di più; per contiguità, associazioni di idee,
somiglianza è forse il sistema mediale ed
epigrammatico più affascinante che
ricordi la poesia. Coi princìpi di causa ed
effetto possiamo curare la tosse, ma con
le transizioni sistematizzate da una
disciplina all’altra non possiamo avallare
il perfezionamento che il Pensiero ha
cercato di conseguire su se stesso. La
tendenza all’incastro di dettati ideologici
non esonerano dalla territorializzazione
dei problemi concreti. Tuttavia, non
crediamo nelle regolarità indipendenti di
cui parlava Frazer. Non si è mai lontani dal
periodo e dal luogo. Periodi e luoghi s’è
noi, riporre bacchette e cilindri.
Per approfondimenti consultare: “Picatrix” – Abū- Maslama Muhammad ibn Ibrahim ibn 'Abd al-da'im al-Majrītī (1256); “De hominis dignitate” – Pico della Mirando
la (1486); “De Alchemia” – Johannes Patricius (1541); “La città del sole” – Tommaso Campanella (1602); “Il ramo d'oro.
Studio sulla magia e la religione” – James Frazer (1890-1915)