L’industria di massa e il consumismo, che in Italia si afferma so-
prattutto a partire dagli anni ’80, accrescono la massa di oggetti scar-
tati, ma ancora utilizzabili da fasce marginali di popolazione. Ciò, in
concomitanza con l’arrivo di immigrati con bassa capacità di spesa,
genera uno spazio inedito per i beni usati, subito occupato da nuovi
attori: le catene in franchising e le cooperative sociali.
Siamo ancora in una fase intermedia in cui non ci si occupa di ri-
mettere sul mercato beni altrimenti destinati a smaltimento. I centri
di riuso devono ancora nascere.
Il settore del commercio dell’usato negli anni 2000 è dunque in
grande fermento. Basti pensare che quando la cooperativa Triciclo
apre il primo negozio di beni usati, nel 1998, non ha concorrenti,
mentre nel 2014, da una mappatura condotta dalla stessa cooperati-
va, sul territorio metropolitano torinese sono presenti 60 negozi. La
situazione a oggi è ulteriormente evoluta. Infatti, attualmente, una
buona parte del commercio dell’usato passa attraverso i canali on line.
Anni 2000:
la scoperta
che tanti
rifiuti
possono
tornare a
essere beni
1 | Ricordiamo
in particolare
Un mondo
usa e getta,
Feltrinelli,
Milano 2000;
Azzerare i
rifiuti, Bollati
Boringhieri,
Torino 2008; La
civiltà del riuso,
Laterza, Roma-
Bari 2010.
All’inizio degli anni 2000 sono teorici come Guido Viale (1) e asso-
ciazioni come «Occhio del riciclone» (a Roma) a costruire l’apparato
teorico e concettuale che motiva la nascita dei centri di riuso. Ne par-
lano diversi articoli su riviste di orientamento ambientalista, escono i
primi libri in cui vengono nominate le «riciclerie» e i «centri di riuso»
come soggetti capaci di ridurre la produzione di rifiuti.
Nel 2010 Occhio del riciclone pubblica il primo rapporto nazionale
sul riutilizzo, che contiene le prime analisi sul campo su quanto sia
grande la massa di oggetti effettivamente recuperabili tra ciò che i
cittadini conferiscono nei centri di raccolta. Da tali dati gli autori
ricavano una stima del valore di mercato e il potenziale impatto oc-
cupazionale.
Nel 2010 viene emanato il decreto legislativo 205, che fa sua la
direttiva europea 98/2008 che istituisce la fattispecie della «prepara-
zione per il riutilizzo». Si ammette cioè che i rifiuti non sono per forza
destinati a smaltimento o riciclo, ma possono, seguendo un’apposita
procedura, riacquistare lo statuto di beni qualora siano riutilizzabili,
per svolgere la funzione per la quale sono nati, dopo essere stati ripuliti
ed eventualmente riparati.
Si afferma così, anche nel dibattito italiano, la gerarchia dei rifiuti
condivisa in tutta l’Unione europea, nella quale si stabilisce che la
priorità nel trattamento dei rifiuti è la prevenzione e dunque evitare di
produrre rifiuti ove possibile; segue la preparazione per il riutilizzo; il
riciclo arriva come terzo nella graduatoria di preferibilità; il recupero
di altro tipo (sotto forma di energia per esempio) il quarto; la discarica
invece è il destino meno desiderabile per il rifiuto e si accomoda al