My first Magazine Animazione Sociale | Page 43

è influenzata dallo stile comuni- cativo, che come comunichiamo è altrettanto importante di ciò che facciamo. Dall’esperienza in carcere, mi ha molto colpito l’utilizzo di ter- mini come "mangime" riferito alla terapia farmacologica. Sono frasi che fanno pensare a un logorio del lavoro terapeutico oppure alla necessità di segnare un confine tra "noi" e "loro". Vengono poi evidenziate al- cune esperienze cliniche, da cui emergono atteggiamenti di giudizio e di attribuzione di responsabilità della situazione. Qualche anno fa un paziente, in un periodo molto critico della sua storia di dipendenza, aveva provato a iniettarsi in una mano dello iodopovidone (un disinfettan- te!) causandosi un’ischemia, una necrosi e infezione che gli ha poi fatto perdere alcune dita della mano... Ricordo giorni convulsi in cui i consulenti lo "rimpallavano" in ospedale fra diverse Unità ope- rative, dando proprio quel senso di "non presa in carico" che clas- sicamente scatta quando si pen- sa: guarda questo qui cosa si è procurato! Dopo che finalmente si era realizzata la possibilità di curare vari problemi dentari di pazien- ti tossicodipendenti, una colle- ga incrociandomi nel corridoio dell’ospedale mi dice in modo serio-scherzoso: "Ma che persone ci mandate?". Rispondo: "Persone che hanno problemi di denti". Una serie di narrazioni evidenzia le emozioni ne- gative vissute dai pazienti a seguito dello stigma, come la vergogna e la rabbia. Ci sono persone a cui domando: «Perché hai aspettato tanto a rivolgerti al Servizio?» e mi dico- no: «Perché provavo vergogna a essere considerato un tossico». La rappresentazione del S erd , ancora diffusa, come il servizio che tratta esclusivamente eroino- mani rende per molte persone difficile rivolgersi, proprio per timore dello stigma sociale. Ho in mente la rabbia di una persona che, per la sua sieropositività, non aveva ottenuto un ricovero in un reparto sociosanitario di lungodegenza, ma era stata inserita "impropriamente" in una comunità per tossicodipendenti. Ci sono poi esperienze in cui si è assistito a conse- guenze negative sulla cura correlate ad atteggiamenti stigmatizzanti (ne parleremo più avanti). Ricordo un paziente ricoverato in chirurgia per calcolosi biliare. Il medico di guardia (ricordo an- cora il nome) chiese: "Fa ancora uso?". Alla mia ri- «Nel lavoro in carcere mi ha colpito l'utilizzo di termini come mangime riferito alla terapia metadonica. Segno di un logorio degli operatori o dell'esigenza di segnare un confine tra "noi" e loro"». Le conseguenze dello stigma sui pazienti