My first Magazine Animazione Sociale | Page 38

tante un cambio del racconto. Perché la percezione della realtà cambia a seconda di come la si narra. È il principio dello storytelling. Cambiare il racconto, dunque, per provare ad aggregare le persone, a mo- bilitarle. Vedo però una trappola su questa stra- da, che è una delle trappole più grosse della diseguaglianza. Perché rispetto alla tua domanda «ma perché i quartieri non prendono atto, perché gli studenti non si organizzano?», mi verrebbe da rispondere: perché le disuguaglianze creano distanze tra le persone. Le disuguaglianze allonta- nano. Non lo dico io, lo dicono Pierre Bourdieu o altri sociologi che si sono occupati del tema: a capitali sociali, culturali, economi- ci diversi – le risorse a disposizione di in- dividui e gruppi – cambiano tante cose nei modi quotidiani di vivere: si consuma in posti diversi, si è interessati a sport diversi, si va in scuole diverse, si abita in quartieri diversi, ci si cura in servizi diversi. Come dice Ota De Leonardis, c’è una spazializzazione delle diseguaglianze. Siccome c’è una naturale propensione delle persone a stare con i propri simili, le persone tra loro diseguali si separano. E separandosi, diventa più difficile in- contrarsi, avere appartenenze in comune e quindi anche rivendicare insieme. Non a caso il ’900 è stato il secolo dei grandi corpi intermedi mediatori, però il ’900 è stato anche il secolo, soprattutto nel secondo dopoguerra, della classe media, mentre oggi vediamo lo svuotamento della classe media e la polarizzazione della ric- chezza e della povertà. E questo è un tema perché più diseguaglianza vuol dire più distanza, più distanza vuol dire meno co- municabilità, meno comunicabilità vuol dire meno possibilità di pensare insieme e di cambiare le cose insieme. Bisogna stare attenti a questa trappola. Pietro Polito Oggi il maggior nemico del discorso dei diritti è il discorso dell’economia. Si dice «garantire i diritti sociali chiede risorse che oggi non abbiamo». Credo allora, per rispondere alla tua domanda, che occorra contrastare un modo di porre il problema dei diritti sociali che è limitante e che ne riduce la portata emancipatoria. I diritti sociali rappresentano una evo- luzione culturale fondamentale rispetto ai diritti di libertà. Bisogna raffigurarli in questi termini: come precondizione ai diritti di libertà. Questo è un argomen- to forte. I diritti di libertà riguardano la sfera morale, quelli sociali la sfera sociale. I diritti sociali sono il completamento dei diritti individuali perché non basta essere liberi moralmente se poi si è oppressi ma- terialmente. Chi non riconosce il valore dei diritti sociali ha una visione mutilata di libertà: riconosce solo la libertà negativa, intesa come non-interferenza del potere statale sulle azioni individuali: la libertà di. I dirit- ti sociali invece rimandano alla libertà di, la libertà positiva. Nelle due visioni muta anche ciò che si chiede allo Stato di fare: perché in un caso lo Stato si deve astene- re dall’intervenire, nell’altro caso lo Stato deve rimuovere gli ostacoli della disegua- glianza. Vorrei chiudere con una frase che Gobetti, nel libro di Di Paolo, rivolge all’amico: «Il Risorgimento non è ancora finito, amico mio, anzi, forse deve ancora cominciare... C’è così tanto da fare!» (p. 131). Questo