tante un cambio del racconto. Perché la
percezione della realtà cambia a seconda
di come la si narra. È il principio dello
storytelling. Cambiare il racconto, dunque,
per provare ad aggregare le persone, a mo-
bilitarle.
Vedo però una trappola su questa stra-
da, che è una delle trappole più grosse
della diseguaglianza. Perché rispetto alla
tua domanda «ma perché i quartieri non
prendono atto, perché gli studenti non si
organizzano?», mi verrebbe da rispondere:
perché le disuguaglianze creano distanze
tra le persone. Le disuguaglianze allonta-
nano.
Non lo dico io, lo dicono Pierre Bourdieu
o altri sociologi che si sono occupati del
tema: a capitali sociali, culturali, economi-
ci diversi – le risorse a disposizione di in-
dividui e gruppi – cambiano tante cose nei
modi quotidiani di vivere: si consuma in
posti diversi, si è interessati a sport diversi,
si va in scuole diverse, si abita in quartieri
diversi, ci si cura in servizi diversi.
Come dice Ota De Leonardis, c’è una
spazializzazione delle diseguaglianze.
Siccome c’è una naturale propensione
delle persone a stare con i propri simili,
le persone tra loro diseguali si separano.
E separandosi, diventa più difficile in-
contrarsi, avere appartenenze in comune
e quindi anche rivendicare insieme.
Non a caso il ’900 è stato il secolo dei
grandi corpi intermedi mediatori, però il
’900 è stato anche il secolo, soprattutto nel
secondo dopoguerra, della classe media,
mentre oggi vediamo lo svuotamento della
classe media e la polarizzazione della ric-
chezza e della povertà. E questo è un tema
perché più diseguaglianza vuol dire più
distanza, più distanza vuol dire meno co-
municabilità, meno comunicabilità vuol
dire meno possibilità di pensare insieme e
di cambiare le cose insieme. Bisogna stare
attenti a questa trappola.
Pietro Polito
Oggi il maggior nemico del discorso dei
diritti è il discorso dell’economia. Si dice
«garantire i diritti sociali chiede risorse
che oggi non abbiamo». Credo allora, per
rispondere alla tua domanda, che occorra
contrastare un modo di porre il problema
dei diritti sociali che è limitante e che ne
riduce la portata emancipatoria.
I diritti sociali rappresentano una evo-
luzione culturale fondamentale rispetto
ai diritti di libertà. Bisogna raffigurarli
in questi termini: come precondizione ai
diritti di libertà. Questo è un argomen-
to forte. I diritti di libertà riguardano la
sfera morale, quelli sociali la sfera sociale.
I diritti sociali sono il completamento dei
diritti individuali perché non basta essere
liberi moralmente se poi si è oppressi ma-
terialmente.
Chi non riconosce il valore dei diritti
sociali ha una visione mutilata di libertà:
riconosce solo la libertà negativa, intesa
come non-interferenza del potere statale
sulle azioni individuali: la libertà di. I dirit-
ti sociali invece rimandano alla libertà di,
la libertà positiva. Nelle due visioni muta
anche ciò che si chiede allo Stato di fare:
perché in un caso lo Stato si deve astene-
re dall’intervenire, nell’altro caso lo Stato
deve rimuovere gli ostacoli della disegua-
glianza.
Vorrei chiudere con una frase
che Gobetti, nel libro di Di
Paolo, rivolge all’amico: «Il
Risorgimento non è ancora finito,
amico mio, anzi, forse deve
ancora cominciare... C’è così
tanto da fare!» (p. 131). Questo