Nella narrazione parti da te, dalla
esperienza che hai tu delle cose, no?
Sì. Se io ti chiedo «cosa pensi dell’immigrazio-
ne?», tu mi dirai quello che hai sentito ieri sera in
tv. Se invece ti chiedo «ti sei mai trovato di fronte a
un immigrato? Quando? Dove? A che ora? Che cosa
ti è successo? Che cosa hai fatto? Che cosa avete
fatto?», nella maggior parte dei casi la risposta è
«mai», perché le relazioni sociali sono pochissime.
Allora se ripartissimo da lì, forse qualcosa di più
comprenderemmo. Ma se continuiamo a ripeterci
opinioni escludendo le storie, se continuiamo a dire
che raccogliamo storie quando in realtà raccoglia-
mo opinioni, be’ non ne usciamo. Perché continue-
remo ad approcciare l’immigrazione in modi che
non cercano la soluzione del problema, ma che sono
il problema.
Gli operatori che lavorano
nei centri di accoglienza – negli
Sprar, nei Cie – vivono in prima
persona questa contraddizio-
ne. Perché si ritrovano a dover
gestire un fenomeno di conten-
zione rispetto a persone che non
hanno compiuto reati, e quindi
perché dovrebbero essere in un
luogo di contenzione? Qualunque
cosa facciano è viziata da questo
problema di fondo. E quindi c’è
un burn out continuo. Ma forse è
l’Italia a essere in burn out. Siamo
un paese in burn out, forse l’Occi-
dente è in burn out. È tutto qual-
cos’altro, c’è sempre qualcos’al-
tro. Non è mai possibile consi-
derare una questione, affrontare
un problema per quello che è. Per
questo diventa importante oggi
acquisire consapevolezza dell’es-
serci, imparare a prestare ascolto
a quello che accade, a dove si è, a
chi si ha davanti.
IL TEATRO È PRESENZA
Dicevi che il teatro è
fondamentalmente
presenza, per questo le
sue pratiche aiutano
ad allenare la capacità
di essere presenti a sé,
agli altri, alle cose. Puoi
spiegare di più?
L’attore di teatro è colui che sa
ascoltare chi ascolta. Io, mentre
adesso ti sto parlando, mi occupo
di te che ascolti. Quello che dico,
come lo dico, lo dico in relazione
a quello che sta accadendo qui
e alla persona che tu sei. Tengo
Per carità, è sempre stato così. Abbiamo sempre
avuto bisogno di qualcuno che ci dicesse «guarda
lì»: il maestro, il farmacista, il medico, il prete... E
se qualcuno dice «guarda lì» la gente guarda lì. E
cosa dice la gente? Dice quello che ha sentito ieri
sera in tv. E quello che ha sentito ieri sera in tv è
che «quello è un problema?». Ma perché?!
Qualche tempo fa ho fatto un film sulla paura,
La paura siCura, in cui volevo raccontare le paure
del presente. Sono partito immaginando che tutti
mi dicessero «abbiamo paura degli immigrati». E
invece su 300 colloqui fatti nessuno mi ha detto
«abbiamo paura degli immigrati». Perché? Perché
ho fatto domande che richiedevano come risposta
delle storie.
Se tu noti, sui mass media nessuno fa mai doman-
de che richiedano come risposta delle narrazioni.
Tutti parlano di narrazione, ma nessuno fa narra-
zione. È rarissimo. Perché la narrazione è un’altra
cosa dalle opinioni.