che si mobilita riempiendo le
piazze, “nei volti severi ma sco-
perti dei manifestanti e nelle
bandiere”. Molti manifesti nel
corso del “lungo Sessantotto”,
adottano un sistema dicotomi-
co ove una violenza “legittima
e necessaria” si scontra con
una violenza “immorale e arbi-
traria”: partiti costituzionali vs.
“opposti estremismi”, sinistra
rivoluzionaria vs. neofascisti
e/o Stato borghese e/o capitalis-
mo ecc. Non è infrequente che
nei manifesti di tutte le forze
politiche, istituzionali e non, il
nemico venga mostrato come
entità anonima, col volto celato
(passamontagna o casco d’ordi-
nanza, in base allo schieramen-
to della forza politica), incline
alla violenza cieca ed indis-
criminata. Il nemico violento
viene raffigurato come automa
senza volto, mero simbolo o
marionetta guidata da dietro le
quinte. Le forze politiche isti-
tuzionali, al fine di negare legit-
timità agli avversari, tendono a
denunciare la violenza armata
o “attraverso immagini verosi-
mili, ideate appositamente”, o
“modificando profondamente
le fotografie originali” al fine da
enfatizzare l’impatto emotivo.
Alla condanna del terrorismo
(termine che ben presto diviene
quasi onnicomprensivo di qual-
siasi ricorso a forme di violen-
za), i manifesti istituzionali as-
sociano spesso l’indicazione di
come sconfiggerlo. La comune
“battaglia per la difesa della
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