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al quinto posto al mondo, prima tra le università pubbliche. “Già a partire dal 2003 – prosegue Rossi –, abbiamo avviato un percorso di alta formazione post-laurea, un master in lingua inglese in Lighting Design & Led Technology. Il 70 per cento dei partecipanti proviene dall’estero e abbiamo dovuto introdurre il numero chiuso per garantire un alto livello formativo, organizzando due classi all’anno”. In effetti, siamo di fronte a numeri di tutto rispetto. Il master riceve infatti ogni anno più di 150 richieste di realtà industriali e professionali provenienti da ogni parte del mondo. “Come partecipazione e posizionamento i numeri del nostro master sono simili o addirittura migliori degli analoghi corsi della Parsons di New York, della UCI di Londra, della KTH di Stoccolma e della Hochschule di Wismar – conclude orgoglioso il docente. La ragione di questo successo sta nella forte impronta politecnica che abbiamo voluto dare fin da subito. Prima di introdurre i corsisti alla cultura del progetto, si affrontano gli aspetti scientifici e tecnologici, che vengono aggiornati sulla base dei ritorni che riceviamo dal mondo industriale”. Dal Politecnico di Milano a quello di Torino il passo è breve, ma le differenze ci sono, soprattutto per quanto riguarda il contesto produttivo di riferimento: la presenza di primarie imprese di illuminotecnica nel primo caso, un contesto di aziende di medie e piccole dimensioni nel secondo. Una differenza che inevitabilmente si fa sentire, anche per quanto riguarda il rapporto tra università e territorio. “Il tessuto produttivo torinese – attacca Anna Pellegrino, docente al dipartimento di Energia del Politecnico di Torino, che da anni insegna illuminotecnica nei corsi di laurea di architettura – si compone soprattutto di aziende di piccole e medie dimensioni. Un dato, questo, che conta, anche per quanto riguarda gli sbocchi professionali dei nostri studenti, sempre più spesso attratti da offerte di stage e di lavoro provenienti dall’estero: dall’Olanda e dalla Germania, in particolare. Ciononostante, nei workshop rivolti agli studenti di architettura possiamo contare sulla presenza di operatori e tecnici del mondo della produzione. Non si tratta di corsi strutturati con le aziende del settore o con gli ordini professionali, certo, ma di nostre autonome iniziative per fornire agli studenti strumenti operativi per l’ingresso nel mondo del lavoro. Purtroppo, quando parliamo di gap tra domanda e offerta in campo illuminotecnico dobbiamo tenere conto anche del contesto produttivo entro il quale le università operano”. Contesto a parte, l’insegnamento dell’illuminotecnica al Politecnico di Torino ha una storia consolidata, che si tramanda da anni, che si insegna sia nella fisica tecnica ambientale sia nell’ingegneria tecnica, talvolta anche nel design. Un ateneo che mantiene stretto il rapporto con il territorio di riferimento, in particolare con i Comuni alle prese con la progettazione illuminotecnica dei beni culturali, degli spazi urbani e degli edifici monumentali. “Certo, operiamo anche al di fuori del contesto torinese – continua la docente del Politecnico –, come dimostrano i workshop svolti a Taormina per il progetto di allestimento illuminotecnico del parco archeologico dell’Isola Bella o sul castello di Schisò ai Giardini Naxos a Messina. O, più vicino a noi, i progetti illuminotecnici per la Reggia di Venaria Reale”. Superare i vincoli dell’insegnamento tradizionale e la competizione tra atenei. Ecco un esempio positivo. È quello dell’università di Roma Tre. Alla facoltà di architettura è infatti attivo un master di lighting design, fondato una quindicina di anni fa da Corrado Terzi, mentre, le due facoltà di architettura, Roma Tre e Sapienza, collaborano attivamente sui temi dell’illuminotecnica: nella Capitale, da alcuni anni, è attivo un polo universitario della luce, all’interno del quale i corsi si completano e offrono nuove opportunità formative. “Roma, da questo punto vista, rappresenta un esperimento riuscito di collaborazione tra le due università – sostiene Marco Frascarolo, docente di acustica e illuminotecnica alla facoltà di architettura di Roma Tre. Un’iniziativa che ha permesso di superare i limiti imposti dall’insegnamento universitario tradizionale della fisica tecnica, dove a dettare legge molto spesso sono i termotecnici. Non solo, ma ciò che offriamo agli studenti è quanto di più avanzato oggi si possa loro proporre”. Il tema su cosa insegnare, in una fase di forte innovazione tecnologica, diventa quindi centrale. “I nostri master – prosegue Frascarolo – sono di alta formazione. A differenza di quanto propone il Politecnico di Milano, dove lì prevale il product design, noi a Roma siamo concentrati sulla progettazione illuminotecnica dei beni culturali. In questo modo è possibile, come è avvenuto, collaborare a importanti iniziative, come i progetti illuminotecnici della Cappella Sistina, della Basilica di Assisi, per l’illuminazione del Colosseo o per la redazione delle linee guida dell’illuminazione per Roma Capitale. Il nostro sforzo è essere sempre più presenti sia sul territorio sia sulle nuove frontiere dell’illuminotecnica, vale a dire l’IoT e la domotica”. Certo, molto dipende anche dal contesto produttivo dell’area romana. “Abbiamo realtà differenti – conclude il docente romano – per dimensioni e mentalità. Sono presenti aziende consolidate, ma statiche, altre meno grandi, ma dinamiche, e poi una marea di piccole imprese tecnicamente approssimative. Capita però che anche dalle piccole realtà arrivino spunti interessanti, soprattutto da quelle che realizzano prevalentemente prodotti su misura o da quelle che colgono il cambio di paradigma che vive il settore”. Chi si dice ottimista rispetto alle sorti dell’insegnamento dell’illuminotecnica in ambito universitario è Laura Bellia, docente al dipartimento di Ingegneria industriale all’università di Napoli. “Nonostante tutto, vale a dire nonostante la marginalità della nostra materia all’interno dei corsi di laurea universitaria e della troppa improvvisazione esistente sul campo da parte di tecnici poco formati, sono ottimista. Perché vedo che nel mondo delle università si sta cominciando a fare rete, a fare sistema, anche grazie al lavoro di Aidi (Bellia è responsabile tecnico- scientifico dell’associazione, nda)”. Effettivamente, l’insegnamento dell’illuminotecnica nelle università italiane, tranne rare eccezioni, è troppo spesso confinato all’interno di altre discipline, come la Fisica tecnica ambientale, dove spesso la climatizzazione e il risparmio energetico sono Francesco Leccese Università di Pisa le materie che la fanno da padrone. “È vero, l’illuminotecnica è vissuta come marginale – continua l’architetto –, e il peso specifico del suo insegnamento dipende soprattutto dalla sensibilità e dalla formazione dei singoli docenti. Tra l’altro, così facendo, si rischia di non cogliere gli elementi di innovazione tecnologica che sempre più spesso accompagnano la nostra disciplina”. Cosa fare allora, se modifiche all’ordinamento universitario non sono all’orizzonte? “Penso che dovremmo impegnarci maggiormente a mettere in circolo le nostre conoscenze e i nostri saperi – prosegue la docente napoletana. Anche perché la mancanza di una cultura tecnica specifica non è un problema dei soli addetti ai lavori, ma è un tema che ha ripercussioni concrete nelle opere che vengono realizzate. E questo vale anche per tutti coloro i quali – tecnici della pubblica amministrazione, produttori, installatori, costruttori – entrano nel ciclo della produzione edilizia. Infine, qui da noi, a differenza di quanto avviene all’estero, manca il riconoscimento della professione di progettista della luce”. Un altro tema riguarda la mancanza di un tessuto produttivo uniforme a livello nazionale. “Certo – conclude Bellia –, è un problema vero, difficile da risolvere. Se alcune realtà come Torino e Milano possono vantare un tessuto imprenditoriale di riferimento sviluppato, non è così dappertutto, nel Sud del Paese in particolare”. Ultima questione. La mancanza di una cultura, ampia e diffusa, della luce e della sua importanza.“Credo che occorra trovare le forme giuste di divulgazione all’opinione pubblica dell’importanza della luce – conclude Bellia. Forse serve riproporre quanto fatto in passato da Enea sui temi del risparmio energetico”. EDUCATION / LUCE 327 23