¶ EPIFANIE DI LUCE
Philip Roth, 1968
di Empio Malara
N
Le luci rivelatrici
di Philip Roth
in Pastorale Americana
ella Pastorale Americana di Philip Roth
(Newark, New Jersey, 1933 – New York,
2018), romanzo vincitore del Premio
Pulitzer per la narrativa nel 1998, all’inizio
la luce è assente.
Nella prima parte, nel Ricordato Paradiso dello
“Svedese” – un ricco americano di successo
di nome Seymour Irving Levov, marito di Dawn,
miss New Jersey, genitore dell’adorata figlia
Merry –, la luce non si fa notare.
Appare nella seconda parte, nella Caduta,
dopo che Merry, influenzata dalle contraddizioni
della guerra in Vietnam, porta la guerra in casa,
diventa “La Terrorista di Rimrock”
perennemente in fuga. Viene prima nascosta
dai suoi amici e si nasconde poi nella periferia
di Newark, fra le fabbriche della Guerra Civile
americana, tra fonderie e officine “che erano
adesso senza finestre: la luce del sole bloccata
da muri di mattoni, le entrate e le uscite
tappate da blocchi di calcestruzzo”, nota
l’autore del romanzo. Appena la luce entra
nel racconto le viene impedito di illuminare,
di spiegare lo stato di abbandono degli
stabilimenti. Ma quando lo “Svedese” rintraccia
Merry in una minuscola stanza, dove “ora
sedevano a non più di un braccio di distanza
l’uno dall’altra”, in quella topaia, la luce, anche
se fioca, ricompare nel racconto: “non c’era
altra luce che quella che entrava dal vetro
sudicio sopra la porta”, rivela l’autore.
La vitalità della luce prorompe nel romanzo
nel drammatico dialogo tra padre e figlia.
Ma Merry la rifiuta e rifiuta anche l’uso elettrico
della luce: “Aveva rinunciato anche al vizio
dell’elettricità”, sottolinea Roth.
Merry – constata l’autore – “Viveva senza luce.
Perché?” La domanda dello “Svedese” resta
senza risposta, Roth è consapevole
dell’indispensabile presenza della luce
nell’esistenza umana, tuttavia, in coerenza con
la sua concezione descrittiva del romanzo,
si limita a registrare, senza spiegarle, le rinunce
volontarie e totalizzanti della figlia: “Viveva
senza luce, viveva priva di tutto. Ecco come
si era sviluppata la loro vita, lei viveva a Newark
senza niente, lui viveva a Old Rimrock con tutto,
tranne lei”, conclude magistralmente Roth.
Merry era diventata irriconoscibile,
un’anoressica accovacciata sul pavimento
di quella stanza poco corrispondente alla bimba
che un tempo giocava sull’altalena appesa a
uno degli aceri che proteggevano dalla luce del
sole i muri di pietra della vecchia casa dei Levov.
Alberi che lo “Svedese” amava a tal punto che
“Gli sembrava più stupefacente possedere degli
alberi che possedere delle fabbriche” – riferisce
l’autore nella terza parte della Pastorale
Americana, da lui definita Paradiso Perduto.
Come avrebbe potuto lo “Svedese” rinunciare
agli alberi del suo giardino per soddisfare
il desiderio di Dawn di costruire una nuova casa
per cercare di dimenticare l’assenza di Merry?
Come avrebbe potuto apprezzare i disegni
e il diagramma predisposto dall’architetto Orcutt
“che indicava con quale angolazione la luce del
sole sarebbe entrata dalle finestre il primo giorno
di ogni mese dell’anno. Un profluvio di luce, –
disse Dawn – Luce! – esclamò Dawn – Luce!”.
Esaltando eccessivamente la luce della futura
casa, Dawn condannava ancora una volta
la vecchia casa di pietra, dove la luce entrava
ombrata dagli alberi tanto amati dallo
“Svedese”.
“Anche Merry aveva dimostrato di non amare
gli alberi più di quanto Dawn non avesse amato
la casa”, la vecchia casa dove la luce che entrava
dalle finestre, velata dagli alberi, veniva
apprezzata solo dallo “Svedese”, solo da lui.
Le differenti reazioni alla luce, esaltata
da Dawn, ricercata da Orcutt, avevano svelato
indirettamente allo “Svedese” la relazione
sessuale tra sua moglie e l’architetto: “Ora
capisco il discorso sulla luce. L’idea della luce
che batte sulle pareti… Sarà una cosa da vedere.
Credo che sarai molto felice in quella casa”,
afferma senza pensarci lo “Svedese”
rivolgendosi a Orcutt. Durante la conversazione
con l’architetto, dalla mente dello “Svedese”
è sfuggita la frase rivelatrice della sua volontaria
rinuncia a vivere nella nuova casa senza alberi
e con troppa luce. Una decisione che provoca
una domanda semplice e conclusiva, alla quale,
parafrasando le ultime righe del suo
capolavoro, Roth potrebbe rispondere così:
cosa c’è di meno riprovevole dell’amore
dello “Svedese” per la luce velata dagli alberi
del suo giardino, presente all’interno
di una vecchia casa di pietra?
7 – continua. Per “Epifanie di Luce” sono usciti
finora su LUCE i racconti di Empio Malara:
“Alessandro Manzoni, artefice della luce” (n. 317,
settembre 2016); “Herman Melville. La luce invita
al viaggio” (n. 321, settembre 2017); “La luce
e il buio nel ritratto di James Joyce da giovane”
(n. 322, dicembre 2017); “Lampi e luci in Addio
alle armi di Hemingway” (n. 323, marzo 2018);
“Il sole artificiale nel romanzo La Montagna
Incantata di Thomas Mann”(n. 324. giugno 2018);
“La luce irriverente e irrazionale in alcuni testi
di Carlo Emilio Gadda” (n. 325, settembre 2018).
EPIPHANIES OF LIGHT / LUCE 326
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