LUCE 326 | Page 17

¶ EPIFANIE DI LUCE Philip Roth, 1968 di Empio Malara N Le luci rivelatrici di Philip Roth in Pastorale Americana ella Pastorale Americana di Philip Roth (Newark, New Jersey, 1933 – New York, 2018), romanzo vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 1998, all’inizio la luce è assente. Nella prima parte, nel Ricordato Paradiso dello “Svedese” – un ricco americano di successo di nome Seymour Irving Levov, marito di Dawn, miss New Jersey, genitore dell’adorata figlia Merry –, la luce non si fa notare. Appare nella seconda parte, nella Caduta, dopo che Merry, influenzata dalle contraddizioni della guerra in Vietnam, porta la guerra in casa, diventa “La Terrorista di Rimrock” perennemente in fuga. Viene prima nascosta dai suoi amici e si nasconde poi nella periferia di Newark, fra le fabbriche della Guerra Civile americana, tra fonderie e officine “che erano adesso senza finestre: la luce del sole bloccata da muri di mattoni, le entrate e le uscite tappate da blocchi di calcestruzzo”, nota l’autore del romanzo. Appena la luce entra nel racconto le viene impedito di illuminare, di spiegare lo stato di abbandono degli stabilimenti. Ma quando lo “Svedese” rintraccia Merry in una minuscola stanza, dove “ora sedevano a non più di un braccio di distanza l’uno dall’altra”, in quella topaia, la luce, anche se fioca, ricompare nel racconto: “non c’era altra luce che quella che entrava dal vetro sudicio sopra la porta”, rivela l’autore. La vitalità della luce prorompe nel romanzo nel drammatico dialogo tra padre e figlia. Ma Merry la rifiuta e rifiuta anche l’uso elettrico della luce: “Aveva rinunciato anche al vizio dell’elettricità”, sottolinea Roth. Merry – constata l’autore – “Viveva senza luce. Perché?” La domanda dello “Svedese” resta senza risposta, Roth è consapevole dell’indispensabile presenza della luce nell’esistenza umana, tuttavia, in coerenza con la sua concezione descrittiva del romanzo, si limita a registrare, senza spiegarle, le rinunce volontarie e totalizzanti della figlia: “Viveva senza luce, viveva priva di tutto. Ecco come si era sviluppata la loro vita, lei viveva a Newark senza niente, lui viveva a Old Rimrock con tutto, tranne lei”, conclude magistralmente Roth. Merry era diventata irriconoscibile, un’anoressica accovacciata sul pavimento di quella stanza poco corrispondente alla bimba che un tempo giocava sull’altalena appesa a uno degli aceri che proteggevano dalla luce del sole i muri di pietra della vecchia casa dei Levov. Alberi che lo “Svedese” amava a tal punto che “Gli sembrava più stupefacente possedere degli alberi che possedere delle fabbriche” – riferisce l’autore nella terza parte della Pastorale Americana, da lui definita Paradiso Perduto. Come avrebbe potuto lo “Svedese” rinunciare agli alberi del suo giardino per soddisfare il desiderio di Dawn di costruire una nuova casa per cercare di dimenticare l’assenza di Merry? Come avrebbe potuto apprezzare i disegni e il diagramma predisposto dall’architetto Orcutt “che indicava con quale angolazione la luce del sole sarebbe entrata dalle finestre il primo giorno di ogni mese dell’anno. Un profluvio di luce, – disse Dawn – Luce! – esclamò Dawn – Luce!”. Esaltando eccessivamente la luce della futura casa, Dawn condannava ancora una volta la vecchia casa di pietra, dove la luce entrava ombrata dagli alberi tanto amati dallo “Svedese”. “Anche Merry aveva dimostrato di non amare gli alberi più di quanto Dawn non avesse amato la casa”, la vecchia casa dove la luce che entrava dalle finestre, velata dagli alberi, veniva apprezzata solo dallo “Svedese”, solo da lui. Le differenti reazioni alla luce, esaltata da Dawn, ricercata da Orcutt, avevano svelato indirettamente allo “Svedese” la relazione sessuale tra sua moglie e l’architetto: “Ora capisco il discorso sulla luce. L’idea della luce che batte sulle pareti… Sarà una cosa da vedere. Credo che sarai molto felice in quella casa”, afferma senza pensarci lo “Svedese” rivolgendosi a Orcutt. Durante la conversazione con l’architetto, dalla mente dello “Svedese” è sfuggita la frase rivelatrice della sua volontaria rinuncia a vivere nella nuova casa senza alberi e con troppa luce. Una decisione che provoca una domanda semplice e conclusiva, alla quale, parafrasando le ultime righe del suo capolavoro, Roth potrebbe rispondere così: cosa c’è di meno riprovevole dell’amore dello “Svedese” per la luce velata dagli alberi del suo giardino, presente all’interno di una vecchia casa di pietra? 7 – continua. Per “Epifanie di Luce” sono usciti finora su LUCE i racconti di Empio Malara: “Alessandro Manzoni, artefice della luce” (n. 317, settembre 2016); “Herman Melville. La luce invita al viaggio” (n. 321, settembre 2017); “La luce e il buio nel ritratto di James Joyce da giovane” (n. 322, dicembre 2017); “Lampi e luci in Addio alle armi di Hemingway” (n. 323, marzo 2018); “Il sole artificiale nel romanzo La Montagna Incantata di Thomas Mann”(n. 324. giugno 2018); “La luce irriverente e irrazionale in alcuni testi di Carlo Emilio Gadda” (n. 325, settembre 2018). EPIPHANIES OF LIGHT / LUCE 326 15