Fortunatamente, in alcune aree, si sono potuti rinvenire
ancora dei «vigneti che si sono dimostrati preziosi sia per il
recupero varietale, sia come base di partenza per il reperi-
mento di biotopi per la selezione clonale» 2) .
In tempi sempre più recenti, a questo progetto se ne
sono aggiunti altri, tutti di grande portata, che si prefiggono
di individuare le varietà presenti sul territorio a rischio di
estinzione per salvaguardare la biodiversità genetica e dare
nel contempo agli addetti ai lavori (aziende, associazioni,
mondo produttivo in generale) precise risposte sia di caratte-
re ampelografico e molecolare che enologico ed agronomico.
Attualmente lo studio delle varietà locali autoctone è in
grado di fornire indicazioni sia sulla qualità dell’uva in rela-
zione al terreno sia sulle modalità di commercializzazione dei
vini che ne derivano.
Nel settore dei vini rossi, ad esempio, la preoccupazione
attuale è quella di ottenere vini di maggior struttura e alto
contenuto in antociani che si mantengano anche durante
l’invecchiamento.
Alcuni vitigni autoctoni diffusi in piccoli ambienti,
come ad esempio il Teroldego trentino, hanno bisogno di
essere salvaguardati per non venire “sradicati” dal territorio;
altri, presenti su territori più o meno ampi, necessitano di
esser protetti in modo energico e sostanziale perché di bas-
sissima variabilità clonale; altri, infine, presenti in numero
ridottissimo, costituiscono un vero e proprio “giacimento
genico” che bisogna assolutamente salvaguardare.
L’indagine viticola in ambiente veneto ha finora per-
messo il recupero di numerosi vitigni: si tratta di un patri-
monio prezioso dal punto di vista genetico perché ogni viti-
gno è portatore di una quota di geni originale e non
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Cancellier S., ib.