Premessa
L’Italia possiede da tempo immemorabile un grande
patrimonio di vitigni antichi ed autoctoni che meritano sicu-
ramente di essere recuperati e valorizzati.
Il Veneto, in particolare, può vantare una grande varietà
di viti autoctone. Tuttavia, in questi ultimi decenni, anche
qui s’è andata sempre più diffondendo la consuetudine di
sostituire i vitigni locali con vitigni internazionali ritenuti in
grado di fornire produzioni migliori e più accette ad un mer-
cato sempre più globale.
Pur resistendo ancora nei vecchi vigneti o in alcune aree
di “antica” fama alcune viti autoctone quali la Vespaiola (Bre-
ganzese), la Durella (Vicentino), la Garganega e la Corvina
(Veronese), il Verduzzo trevigiano, il Prosecco, il Verdiso e il
Raboso Piave, col passare del tempo si sono andati sempre più
affermando vitigni quali il Merlot, il Pinot, lo Chardonnay,
i Cabernet. Tutte le altre varietà venivano mantenute solo in
vecchi vigneti situati perlopiù in aree marginali o talora erano
reimpiantate da qualche appassionato sempre più solitario 1) .
Per impedire che molte varietà autoctone, per il fatto di
non esser riconosciute e regolarizzate (e perciò escluse dalle
doc), venissero progressivamente eliminate dalla coltura, a
partire dagli anni ’70, l’Istituto sperimentale per la viticoltu-
ra di Conegliano, aderendo ad un progetto del Cnr dal titolo
“Difesa delle risorse genetiche”, ha iniziato la ricognizione e
il recupero delle varietà locali ancora esistenti sul territorio
per dare una loro successiva valutazione anche alla luce delle
richieste di mercato.
Cfr. Cancellier S., Varietà di viti autoctone da rivalutare, in “L’Informa-
tore Agrario” n° 34, Verona 2001, p. 59.
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