dall’associazione
divisione che segnano il profilo naturale
del Paese: in Liguria e nel Salento, lungo
la costiera di Amalfi e sull’Etna, a Pantel-
leria e in Toscana, su tutto l’arco alpino e
nel cuore dell’Appennino. Questo tesoro
sembrava consegnato alla rovina e alla
nostalgia. Contadini, architetti, impren-
ditori, scienziati e promotori del turismo,
lo rilanciano in tutto il mondo quale mo-
dello avanzato di uno sviluppo nuovo, ca-
pace di generare lavoro e ricchezza senza
consumare la natura. La commissione
Unesco visiterà i muretti a secco italiani
fino all’anno prossimo, la decisione di ac-
coglierli tra i beni essenziali della civiltà è
fissata per il 2019.
«È un passaggio decisivo – dice il geo-
grafo Mauro Varotto, docente all’Universi-
tà di Padova e anima italiana dell’Alleanza
internazionale per i paesaggi terrazzati –
che può garantire le risorse pubbliche per
conservare l’eroica spina dorsale che uni-
sce i popoli con una storia di miseria e di
fatica». In Italia risultano censiti 170mila
chilometri di muri a secco, quelli stimati
sono oltre 300mila. Gli ettari di campi ter-
razzati sono altrettanti. La Grande Mura-
glia cinese, quasi totalmente ricostruita,
è lunga 8mila chilometri. Il valore delle
pietre accumulate e incastrate nei secoli
per permettere agli uomini di coltivare la
terra e di allevare gli animali, ossia di vi-
vere, non sfugge più a nessuno. Esperti e
appassionati di tutti i continenti ne han-
no discusso in Cina, in Perù e in Italia, tra
Padova e Venezia: il prossimo convegno
internazionale dei paesaggi terrazzati si
terrà nelle isole Canarie. Il problema è
comune: evitare che una sapienza antica,
trasmessa oralmente, muoia assieme ai
suoi ultimi custodi. «Costruire un muro a
secco – dice il progettista rurale Massimo
Stoffella – è come generare una persona.
Nasce qualcosa di vivo, per esistere gli oc-
corre un’etica: può essere bello, ma se non
ha sostanza prima o poi crolla. Durare im-
pone equilibrio e per questo conta quello
che c’è dietro: servono tutte le virtù, ma è
il difetto a connotarlo nel tempo». A Ter-
ragnolo, ai piedi dell’altopiano di Asiago,
il 24 giugno si terrà il primo Festival inter-
nazionale “Sassi e non solo”. Sette squadre
si sfideranno nella costruzione del muro
a secco perfetto, donato poi ai contadini
della Vallarsa. La competizione rivela il
boom che sconvolge una missione edilizia
che l’urbanizzazione, assieme alla civil-
tà industriale e al progresso tecnologico,
sembravano aver emarginato. Migliaia di
giovani, donne comprese, si innamorano
dei muretti naturali in pietra, alzati senza
malte e senza cemento, e chiedono di im-
parare a restaurarli. Nel resto d’Europa il
titolo di “maestro di muri e pavimenti in
pietra” è già riconosciuto. In Italia la pri-
ma scuola è stata aperta presso l’Enaip di
Villazzano, in Trentino, e dopo due anni di
corsi ha appena diplomato i primi 18 ar-
tigiani specializzati. L’iniziativa è dell’Ac-
cademia della Montagna e intercetta una
crescente domanda di professionalità. «La
crisi – dice la direttrice Iva Berasi – rivela
opportunità salutari. Impone il recupero
di un’agricoltura più sostenibile e di una
vita più semplice. I muretti a secco ne di-
ventano il simbolo. Rimarginano le ferite
dell’abbandono e confermano il valore
economico della bellezza.
Un Paese come l’Italia, fragile e fonda-
to sulla qualità dell’arte e del cibo, si salva
cominciando a rimettere in piedi i sassi
che da sempre tengono tutto insieme».
Centinaia, da tutte le regioni, le doman-
de di giovani che vogliono frequentare la
scuola trentina della pietra a secco, sette
i corsi di secondo livello pronti a partire.
Per le imprese edili offrire una competen-
za certificata significa allargare il merca-
to. Si creano posti di lavoro per muratori
di alto livello e nemmeno alla nuova ge-
nerazione dei contadini sfuggono le op-
portunità commerciali: uno ha chiamato
“707” il suo vino di punta, per ricordare
ai consumatori i chilometri di muri a sec-
co che sostengono le sue colline, garanzia
di rispetto e di passione. «La leva di un
boom mondiale – dice il naturalista pado-
vano Antonio Sarzo – è proprio l’emozio-
ne. Tra le pietre vivono animali e piante,
filtra l’acqua. Le persone sentono di non
pesare sulla terra, anzi di poterla aiutare
con le loro mani. Lavorare o riposare in
armonia con la natura è la sola strada ver-
so un futuro buono». Per questo Car melo
Brugnara sogna di trasmettere al figlio ba-
rista il segreto per “tirare coi sassi un mu-
retto che dura”.
Tra le vigne di Ceola non pensa ai muri
spinati che i leader globali vogliono alzare
come monumenti alla paura che giustifi-
ca il loro potere. Quelli poi crollano. «Io
sono un piccolo – dice – penso solo a pu-
lire e a tenere su il posto in cui sto per ac-
cogliere tutti. Altrimenti resta da fare».
ANNO LXVIII / n. 6 / giugno 2017 / L’ARTIGIANATO
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