Il Democratico Dicembre | Page 8

La fuga, il viaggio e l’arrivo nei centri E poi che cosa succede in Italia? Vorrei portare il punto di vista di operatore nei progetti di accoglienza per migranti forzati. Lavoro per il Consorzio Sociale Il Filo da Tessere, Ente attuatore del progetto SPRAR di Biella; all’interno del Progetto ricopro il ruolo di operatore legale che significa accompagnamento dei beneficiari in tutto quello che è l’iter burocratico-amministrativo per l’ottenimento dei documenti necessari ad essere regolari in Italia. L’attività determinante nel mio lavoro è la preparazione dei beneficiari al colloquio che avverrà presso la Commissione Territoriale competente alla valutazione della loro domanda di protezione internazionale. Ho iniziato ad interessarmi di migrazione e migranti da quando scrissi la tesi di Laurea sul mediatore interculturale nel 2003, poi mi sono specializzata facendo un Master di 1°livello a Torino nell’ anno accademico 2008-2009; tra la fine del 2009 e la fine del 2010, nell’ambito del Servizio Volontario Europeo che ho svolto a Istanbul, ho avuto modo di conoscere personalmente la realtà di coloro che erano fuggiti per motivi di persecuzione, infatti ho seguito un progetto di ricerca sociologica che aveva come oggetto gli sfollati interni (IDP) del kurdistan turco (sud-est della Turchia) trasferiti a Istanbul, successivamente dopo il mio rientro in Italia, cercando di fare volontariato in progetti legati all’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia, ho trovato a Torino l’Ufficio Pastorale Migranti che mi ha dato prima l’opportunità di fare volontariato e dopo mi ha proposto una collaborazione di lavoro; il servizio in cui mi sono formata, che mi ha dato gli strumenti per fare il lavoro che faccio oggi, è stato proprio quello che per primo ho sperimentato (che sfortunatamente è stato chiuso per mancanza di fondi): si trattava di uno sportello per richiedenti asilo e rifugiati che seguiva i beneficiari nella ricostruzione delle storie di fuga e delle motivazioni che li hanno spinti a lasciare il proprio paese al fine di preparare le persone all’audizione presso la Comissione Territoriale. Tra l’esperienza in Turchia e l’esperienza dello sportello torinese ho conosciuto molti migranti forzati, di tanti paesi diversi, ho ascoltato tante storie e ho tentato di mettere a disposizione le mie competenze affinché quelle loro storie avessero un senso all’interno della normativa, ed è ciò che tento ancora di fare: è un lavoro complesso e frustrante perchè le storie delle persone non si possono incastrare nelle leggi. L’esito della domanda d’asilo determina in tutte queste persone che hanno avviato la procedura un tipo di futuro oppure un altro. E nel frattempo, visto che la procedura dura molti mesi, addirittura anni, chi è fortunato sta dentro un progetto di accoglienza e cerca di intraprendere un percorso di rinascita. Per più o meno buoni che siano i progetti di accoglienza sono e rimangono temporanei e limitati, se pensiamo agli anni trascorsi tra la preparazione della fuga e la fuga stessa ci rendiamo subito conto che la permanenza in questi progetti non è altro che un piccolo tassello della vita dei migranti. Se pensiamo al percorso migratorio di una persona che scappa troviamo il pericolo, il rischio di morte, la fuga dal proprio paese, il transito da paesi sconosciuti, la prigionia, lo sfuttamento lavorativo e non, la violazione dei diritti umani fino, se non si muore prima, all’arrivo in Europa. E l’Europa, l’Italia cosa offrono? Che si chiami C.D.A., C.P.S.A., C.A.S., C.A.R.A. o S.P.R.A.R. il progetto inizia, dura alcuni mesi, per alcuni anche anni, ma prima o poi finisce e l’uscita da un progetto senza avere nè una casa nè un lavoro determina per forza di cose un’attivazione di strategie che produce percorsi diversi da quelli che vorremmo che le persone facciano o che ci immaginiamo per loro. Come vivono i migranti la permanenza nei progetti? Per alcuni è un’opportunità per risollevarsi e ricominciare, per altri è una pausa di riposo e di riflessione, per altri un ennesimo momento di transito. Bisogna in tutto questo tenere conto di almeno tre fattori: 1) la parzialità di condivisione dei loro vissuti e delle loro progettualità (che ha a che fare con la fiducia) 2) la multiprogettualità 3) l’aproccio emergenziale alla vita Declino meglio questi aspetti: 1) Il fatto che i migranti condividano solo alcune delle informazioni degli aspetti della loro vita passata e presente è relativo non solo alla fiducia che si instaura con gli operatori ma anche alla loro libertà di dire o meno certi vissuti e all’utilità che ne può loro derivare. Se pensiamo che per tutto il viaggio precedente l’arrivo in Italia le persone hanno avuto a che fare con trafficanti, sfruttatori, truffatori che hanno preso soldi in cambio di aiuto com’è possibile che di punto in bianco ricevano un aiuto per così dire “gratuito”? Cosa ci rende diversi? Quindi è legittima la loro diffidenza e la cautela ed è da tenere presente per rendere efficace la relazione d’aiuto. 2) La vita dei migranti prima dell’arrivo nei nostri progetti di accoglienza ha un peso sicuramente maggiore dei 6/10 mesi di tempo trascorsi da noi; è utile pensare ai percorsi dei migranti nei vari progetti di accoglienza come non definitivi e non esclusivi,