IL BRIGANTE ED IL GENTILUOMO Il brigante e il gentiluomo II | Page 52

sterili dell’Italia forzosamente unita e resto a guardare con- fondendomi con tutte quelle realtà. – Vedo Elisabetta, vedo il suo sorriso, il suo volto, la guardo mentre stringe al seno i bambini, sorrido, provo a sfiorarla, scompare. – Voglio che tutte le mie terre vadano alla gente, voglio che questo luogo diventi grande e forte come ero io, voglio che questa terra sfami chi soffre, che questa terra vada avanti come se fosse il mio corpo, il mio corpo che sta svanendo. – È il 1863 e mi vedo in mezzo alla folla, porto un cappuccio sulla testa perché nessuno mi riconosca. Devo vederlo, sono venuto per vederlo; è nella camicia di forza e viene trascinato come una belva, feroce ed indo- mita; gli occhi delle guardie tradiscono un terrore inconte- nibile. – Penso a Giordano Bruno, penso che non po- tranno ucciderlo mai, nemmeno sparandogli. Quell’odio ricadrà su di loro, ed anche sopra ognuno di noi. Mi sem- bra, per un istante, che guardi verso di me ed il sangue mi si gela nelle vene, sono loro che lo stanno giustiziando o è lui con i suoi occhi a giustiziare ognuno di noi? – Caruso: l’avevano preso a Molinara, era stato processato con la legge marziale, condannato a morte e fucilato alla schiena. Stavo per assistere alla tua morte: tutto era iniziato con uno schiaffo ed ora finiva con una fucilata. Qui, nella tua Benevento, nel tuo regno, morente tra la tua gente, monu- mento sgretolato dalla storia, ritornato al niente. Sentii il fuoco che ardeva in quell’uomo ardere ancora per l’ultima volta e pensai: Michele, il mio stesso nome. Poi venne il vuoto. - 42 -