IL BRIGANTE ED IL GENTILUOMO Il brigante e il gentiluomo II | Page 38
forza segreta ramificata in tutta Europa, una certezza a cui
si era appoggiato forte del suo titolo, forte dei suoi legami
di sangue.
De Sangro, il principe di San Severo figlio di una stirpe
antica che perdeva le sue radici all’alba dei tempi, quello
stesso sangue che sentiva come maledetto, il sangue del
misterioso Raimondo – alchimista, esoterico e scienziato
– sul quale correvano voci e segreti che egli s’impediva di
sondare, ma che sentiva come batteri, cellule cancerose nel
suo cuore millenario.
Era stato quello stesso sangue vissuto come una forma
di infezione, era stata quell’ascendenza a rendergli possi-
bile l’uscita da ogni situazione, a fargli combattere e vin-
cere ogni battaglia. Aveva sentito le pallottole sfiorargli il
volto nei reggimenti Ussari, aveva visto la morte, la paura,
aveva visto il potere e l’orrore, gli intrighi e i tradimenti ed
ogni volta ne era uscito vincitore, schiacciando tutto quello
che si poneva tra lui ed i suoi traguardi: essere un De San-
gro era la sua forza ma anche la sua dannazione.
Doveva essere stata quella terra, quella terra stupenda
e spietata dove erano nati e vissuti gli antenati, quella ve-
getazione fitta che lasciava spazio allo splendore, quella
forza segreta che aveva ospitato le dimore templari, i
laboratori segreti degli alchimisti, le gloriose opere
borboniche, quella terra stupenda che adesso era
lontana, che adesso aveva dovuto lasciare, cacciato,
braccato da po-teri che non poteva controllare, ma che
avrebbe battuto anche questa volta.
Adesso attendeva Elisabetta con i bambini, aveva fatto
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